Affinità selettive

Affinità selettive

Cose indispensabili

Nel nuovo sito di Cineforum c’è una rubrica chiamata "ping-pong": due autori, un film, scene e sequenze da raccontare e scambiarsi a turno, una a me e una a te, fino ad arrivare alla fine. È un esercizio di scrittura, un modo mai sperimentato prima per raccontare un film con le parole, che poi è quello che facciamo ogni volta che finita la visione ci sediamo davanti a una tastiera.

Questa rubrica gioca pure lei a ping-pong: non con un film intero, ma con una scena o una sequenza, messe a confronto con un testo non cinematografico. Dal film al romanzo, ping e pong; oppure dal film alla canzone, alla poesia o alla fotografia. L’importante è l’illuminazione, la scoperta di un’affinità inattesa che ravvivi la visione, la lettura, l’ascolto. E siccome viviamo ancora nell’epica del frammento, e se un film lo fai a pezzi dentro ci trovi di tutto, queste affinità più che elettive sono selettive (scusate il gioco di parole).

E dunque, ecco la rubrica: Le affinità selettive.

Cominciamo pure noi da Una storia vera.

Da una parte Lynch, le sue stelle, il suo cielo infinito, e dall’altra uno scrittore americano famoso quanto e più di lui, che non ti aspetteresti: Philip Roth. Ho sposato un comunista (Einaudi, 2000, traduzione di Vincenzo Mantovani). Come?

Avete presente l’inizio di Una storia vera? I titoli di testa, la musica di Badalamenti su un carrello che lentamente – lento come il trattore di Alvin – avanza nel cielo stellato. E avete presente il finale, quando Alvin arriva dal fratello Lyle e i due che non si parlano da anni si siedono sul portico finalmente riappacificati? Entrambi guardano in su e la macchina da presa segue il movimento passando dalla casa nel bosco allo stesso cielo stellato dell’inizio, immergendosi, sempre lentissima, nell’universo infinito.



Ecco, quella calma al termine di una vita, quella pace senza confini, mi ha sempre fatto pensare al finale di Ho sposato un comunista di Roth. Non occorre aver letto il libro per capire l’affinità.


 

Né le idee del loro tempo né le aspettative della nostra specie determinavano il destino: solo l'idrogeno determinava il destino. Non esistono più errori che Eve o Ira possano fare. Non esiste il tradimento. Non esiste l'idealismo. Non esistono falsità. Non esiste né la coscienza né la sua mancanza. Non esistono né madri e figlie, né padri e patrigni. Non esistono attori. Non esiste la lotta di classe. Non esistono discriminazione, linciaggio o segregazione razziale, e non sono mai esistiti. Non esiste l'ingiustizia, e neppure la giustizia. Non esistono utopie. Non esistono badili. Contrariamente a ciò che dice il folklore, tolta la costellazione della Lira (appollaiata, guarda caso, nel settore orientale del cielo, in alto, un po' a ovest della Via Lattea e a sudest delle due Orse), non esistono arpe. Esiste solamente la fornace di Ira e la fornace di Eve che ardono a venti miliardi di gradi. Esiste la fornace della romanziera Katrina Van Tassel Grant, la fornace del deputato Bryden Grant, la fornace del tassidermista Horace Bixton, e del minatore Tommy Minarek, e della flautista Pamela Solomon, e della massaggiatrice estone Helgi Pärn, e del tecnico di laboratorio Doris Ringold, e della figlia di Doris, Lorraine, che tanto bene voleva a suo zio. Esiste la fornace di Karl Marx e di Iosif Stalin e di Lev Trockij e di Paul Robeson e di Johnny O'Day. Esiste la fornace di Joe McCarthy, il Mitragliere di Coda. Ciò che si vede da questa tribuna silenziosa sulla mia montagna in una notte splendidamente chiara come la notte in cui Murray mi lasciò per sempre (perché il migliore dei fratelli più devoti, l'asso degli insegnanti d'inglese, morì a Phoenix due mesi dopo), è quell'universo in cui l'errore non ha corso. Ciò che si vede è l'inconcepibile: il colossale spettacolo della mancanza di antagonismo. Ciò che si vede con i propri occhi è il grande cervello del tempo, una galassia di fuoco non acceso da mano umana.

Le stelle sono indispensabili.

Le stelle di Lynch, le stelle di Roth, il colossale spettacolo della mancanza di antagonismo. Tutte cose indispensabili.

PS: mentre scrivo mi viene in mente un’altra cosa. Avete presente questa foto di Joel Sternfeld?

 McLean, Virginia, December 1978

Quando l’ho vista per la prima volta l’anno scorso ho subito pensato a questa scena qui,