"As mil e uma noites" di Miguel Gomes

L'epica della crisi

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È ora di smetterla di fare film che parlano di politica. È ora di fare film in modo politico. (Jean-Luc Godard)

Mia madre di Nanni Moretti si apre con una manifestazione di lavoratori di una fabbrica che stanno per perdere l’impiego. La scena si interrompe quasi subito perché Margherita Buy, la regista del film nel film, non è contenta della riuscita della breve sequenza. Quel che la donna sta girando, in balia di una crisi personale, è chiaramente un film brutto e sbagliato, la classica pellicola militante, piena di retorica e di luoghi comuni, che mostra in maniera semplificata la realtà, privandola di conflitti più sottili, scordando che al campo serve un controcampo (come insegna ancora Godard) affinché ci sia dialettica. E serve anche un fuoricampo.

In maniera quasi miracolosa Miguel Gomes riesce a realizzare un film monstre di oltre sei ore in cui campo, controcampo e fuoricampo si parlano ininterrottamente. As mil e uma noites è una specie di oggetto non identificato, un’opera straordinaria e cangiante, che trova la sua integrità e una sghemba omogeneità grazie alla portata politica del suo progetto – come già avveniva in Tabu (2012) e Redemption (2013), per esempio.

Gomes guarda il Portogallo (in apertura del film viene specificato che As mil e uma noites non è l’adattamento cinematografico dell’opera omonima, di cui viene ripresa solamente la struttura, ma è ispirato ai fatti avvenuti nel Paese tra il 2013 e il 2014, ossia il piano di austerità messo a punto dal governo portoghese) attraverso la lente caleidoscopica di un immaginario personalissimo e grottesco. Tutti gli episodi che compongono la pellicola non hanno un approdo, rimangono aperti e vengono interrotti dall’inizio della vicenda successiva, totalmente indipendente dalla precedente. L’esplosione di storie diverse e frammentarie testimoniano la crisi (non solo economica) che sta attraversando l’Occidente, che vede il suo corpo in pezzi (le corp morcelé di cui parla Lacan) come fosse in preda alla schizofrenia.

Il film di Gomes è in fondo la ricerca di una narrazione che gli permetta di raccontare la crisi sia privata, che tocca ognuno di noi, e dunque anche lo stesso regista (all’inizio della prima parte lo si vede scappare dalla sua troupe), sia più generalizzata, e quindi più esplicitamente politica.

Pasolini diceva che “non c’è nulla che non sia politica”: lo è l’ossessione dei banchieri per il proprio pene in erezione, così come lo è la passione di alcuni uomini per il canto degli uccelli (e da questo punto di vista risulta piuttosto significativa l’immagine di un costruttore di gabbie per volatili che rimane a sua volta intrappolato nella rete che utilizza per il suo lavoro), è politica la fuga di un assassino come lo è un giudice che piange nel pronunciare le sentenze. E soprattutto è politica la scelta di come raccontare una storia, del linguaggio utilizzato.

Il rischio in un’opera di questo tipo avrebbe potuto essere lo schematismo del film a tesi: dover dimostrare, episodio dopo episodio, il medesimo concetto. Gomes fa invece un atto di fede totale nel cinema e nell’immaginario, mischiando tutto, spiazzando di continuo lo spettatore, togliendogli ogni appiglio, costringendolo a abbandonarsi a una narrazione assolutamente originale ma che porta con sé l’eredità di narrazioni passate e condivise. As mil e uma noites è, a suo modo, un film epico, è il tentativo di fare dell’epica oggi, di trovare una forma che possa contenere il materiale espanso e disorganico di quest’epoca, che possa raccontarlo.

Per concepire un progetto così ambizioso serve molto coraggio. E serve anche una buona dose di follia per essere in grado di abbandonarsi alle proprie immaginazioni senza rimanere bloccati dalla paura del fallimento, rischiando di ritrovarsi tra le mani un’opera monca. Miguel Gomes fa, per contro, di questo abbandono il punto di forza, osando la caduta rovinosa e rimanendo invece in equilibrio, come certi funamboli che sulla corda tesa, senza rete, restano sospesi regalando un istante di grazia a chi li sta guardando col cuore in gola.