Tre film in concorso

La paura del debutto

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I sette lungometraggi in Concorso del BFM33 sono assai ambiziosi e meritevoli di attenzione se non altro per il tentativo da parte dei registi di intraprendere un percorso stilistico personale. Essendo tutte opere prime, però, talvolta si sente la "paura del debutto" e la difficoltà di slegarsi dagli autori di riferimento, rischiando di portare lavori anche molto interessanti su piani scontati, scegliendo la via più facile o comunque la meno rischiosa. 

Un film come Gente de bien di Franco Lolli, finora il migliore visto in competizione, che ha la sua forza nel viso e nelle movenze un po' goffe del bimbo protagonista - davvero straordinario per intensità - tende, in qualche momento, a perdere vigore a causa dello schematismo di alcune situazioni, scivolando nel film a tema, mettendosi dunque al riparo da certe ambiguità che da una parte potrebbero risultare azzardate per una comprensione "chiara e definitiva", ma che avrebbero donato all'opera un maggior fascino, lasciando allo spettatore più curioso il compito di cercare una verità tra le immagini e permettendogli di farsi mettere in scacco dal film. Di sicuro si corre il pericolo di essere fraintesi e anche di cadere rovinosamente, ma sarebbe semmai una caduta gloriosa, dal momento che, nel caso di Lolli, il talento è evidente.

Neden Tarkovski olamiyorum... (Why Can't I be Tarkovsky?) di Murat Düzgünoğlu è invece un film assai ironico benché molto amaro: la condizione frustrante di un giovane regista, incompreso anche da amici e fidanzata, che si divide tra le necessità quotidiane, i compromessi e il sogno di poter realizzare almeno un film che brilli di una bellezza pura. In questo caso le forzature più evidenti si trovano in sceneggiatura: è un grande merito saper calibrare la malinconia con l'ironia, rendendo l'opera lieve e non superficiale, ma la contrapposizione quasi geometrica tra vicende che muovono al riso e altre che invece portano alla riflessione alla fine indebolisce l'impianto del film, facendogli perdere mordente.

Nini Bull Robsahm con Amnesia (nella foto) riporta lo spettatore alle atmosfere nordiche del thriller. Come già lo svedese Turist (Force Majeure) di Ruben Östlund, amatissimo all'ultimo Festival di Cannes, anche Amnesia si muove, in maniera claustrofobica e ossessiva, all'interno del gioco al massacro tra uomo e donna - il primo tenta di esercitare un dominio, anche fisico, sulla compagna. Nonostante i momenti di suspense non manchino e i protagonisti siano piuttosto convincenti, alcuni snodi appaiono un po' telefonati e soprattutto il lavoro psicologico sui due personaggi risulta a tratti carente e, anche in questo caso, eccessivamente schematico. Sarebbe forse stato più interessante non caratterizzare i due in maniera così netta (uomo-carnefice, donna-vittima), ma svelare, di certo destando scandalo, che, come diceva Pasolini, "non c'è disegno di carnefice che non sia suggerito dallo sguardo della vittima".

Se il grande merito del Concorso del Bergamo Film Meeting (ma anche di alcune sezioni parallele di festival come Venezia e Cannes) è quello di dare fiducia e di premiare gli esordienti, spingendoli a proseguire nella loro ricerca stilistica, il rischio che si corre - ma in fondo è un rischio calcolato - è di imbattersi in autori che, dovendo farsi largo tra numerosi epigoni, per timore reverenziale nei confronti dei "maestri" e perché la strada più battuta risulta in definitiva la più facile, faticano a tirar fuori la loro parte più originale e intima.