Certain regard

Omor shakhsiya (Personal Affairs) di Maha Haj

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Maha Haj, dice di non aver studiato cinema, ha lavorato sui set facendo un po' questo e un po' quello (anche, e si sente, con Elia Suleiman) e per il suo debutto, dopo lunghe audizioni, ha deciso di lavorare con attori non professionisti. Non che siano questi meriti in sé, ma il suo primo film da regista trae forza e freschezza da questa generale, forse, non eccessiva consapevolezza.
Tutto è dritto in questo film,  come le linee delle pareti delle camere che – in modi differenti – relegano i vari personaggi alla loro solitudine. Dritto come le finestre che separano, senza salvaguardarne il privato, il dentro dal fuori; dritto come le righe del maglione di Saleh, come le plance del molo sul lago in Svezia, come la battigia su cui si infrangono i flutti di un mare mai visto, come il limite segnato dal filo spinato del check point tra Ramallah e Gerusalemme, come le traiettorie di un tango.
Perché è ovvio che Personal Affairs sia un film sui confini, sui limiti e sulla possibilità di oltrepassarli, di liberarsi. È una storia di famiglia,  di una coppia stanca del proprio legame soffocato dall'abitudine, e dei loro tre figli che, ognuno a suo modo, si è confinato all'interno del proprio personale confine relazionale. Uno rifugiandosi in Svezia, l'altro rifiutando un legame sentimentale stabile, l'altra ancora restando fedele al suo progetto di normalizzazione familiare. Tutto gira infatti intorno alla dimensione strettamente personale dei personaggi, il côté politico quasi ignorato fino alla fine. Eppure, forse un pochino troppo dritta la metafora, i confini dei personaggi finiscono per suggerire una riflessione su quello che può essere la quotidianità in un paese in cui il senso di appartenenza a uno spazio così come le possibilità di relazione e di movimento, sono solo apparentemente scontate. E la capacità di suggerire con garbata leggerezza, con gentile ironia, al limite anche con ingenua pulizia, finiscono per riuscire efficacemente non solo a sostituire una complessità non richiesta, ma anche a portare non senza coraggio il racconto fuori da certi cliché .