Concorso

Paterson di Jim Jarmusch

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Non è la prima volta che Jim Jarmusch usa il reaction shot di un cane (Ghost Dog - Il codice del samurai). Ma in Paterson ce ne sono tanti, insistiti. E sono reazioni che appartengono allo sguardo di un bulldog brontolone e geloso, pigro ma non disattento: la reazione di fronte all’obliquità della realtà.
Un fuori asse ostinato, il centro scentrato: Jarmusch ne ha sempre fatto la sua ideologia. In Paterson, che sembra tornare all’aneddotica del Jarmusch dei primi anni Novanta (ma senza dimenticare Coffee and Cigarettes) e che invece prosegue la geografia dei sentimenti del capolavoro Solo gli amanti sopravvivono, stare ai margini della vita, su una poltrona, fra uno sbadiglio e un pisolino, non significa non farne parte: a tal punto che la rottura della coerenza e della prevedibilità parte da lui, dal bulldog protagonista, Marvin, il responsabile della “non correttezza” della cassetta delle lettere della casa in cui vive, e di altro ancora. È Marvin il primo testimone dei dialoghi fra i suoi padroni Paterson (Adam Driver) e Laura (Golshifteh Farahani), il primo osservatore privilegiato delle invenzioni artistiche della donna, il colpevole di un “azzeramento” conclusivo che obbliga a voltare letteralmente pagina (e la pagina nuova è bianca, vergine, in attesa di inchiostro): i cani di Jarmusch osservano il corso delle cose ma fanno qualcosa di più, intervengono.
Jarmusch, che è nato artisticamente negli anni Ottanta e che nell’indipendenza senza coordinate e senza padroni ha costruito la sua forza punk, cerca in Paterson la simmetria di una visione equilibrata ma è costretto ad abdicare in favore dell’irregolarità: la perfezione di un verso poetico lascia il posto a un’espressione onomatopeica di sorpresa. Che è come dire: ha ragione Marvin quando “grugnisce”. In un film che si sviluppa sempre due volte (i gemelli e le gemelle, gli eventi che prima accadono e che poi vengono raccontati sul divano, sempre di fronte - guarda caso - alla cuccia di Marvin), la vita non appartiene solo alla parete di un pub con le celebrità locali, ma forma a poco a poco un dissesto: Marvin fa a pezzi il libro delle poesie di Paterson mentre la coppia è al cinema a vedere L’isola delle anime perdurte, il primo film sonoro sulle gesta del dottor Moreau, che crea freak umanoidi dalla vivisezione sugli animali. La blasfemia di Moreau è la stessa che subisce Paterson ad opera del suo cane, una blasfemia che interrompe l’ordinario e che fa emergere lo straordinario. Per Jarmusch quest’ultimo è la vera ragione per ricominciare la settimana, un nuovo lunedì, cambiare pagina. Lo straordinario, dunque, quale fenomeno deforme, di traverso, fuori dal consueto. Gli amanti di Solo gli amanti sopravvivono decidevano in conclusione di dar retta a un ultimo slancio vitale, per non soccombere al nichilismo e alla morte; Paterson, dal canto suo, dopo che tutto è cambiato, si ritrova su una panchina con un poeta giapponese che gli offre come reaction shot un elementare “ah ah!”. Un po‘ come il cinema di Jim Jarmusch, che continua ad essere uno dei più straordinari gesti disomogenei nella conformità del mercato, coerente solo con se stesso e con la rinuncia di un’omologazione alla proporzione e alla regolarità. Vertigo: il regista che continua a guardare il mondo con la vertigine di un semplice sguardo storto.