Fuori concorso

The BFG di Steven Spielberg

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In una Londra dickensiana e digitale, dove l'iperrealismo rende la fiaba ancora più fiabesca, vive una ragazzina sola e insonne, rinchiusa in un orfanotrofio di cui sembra la (malinconica) regina. È un mondo popolato di ombre. Quella dell'istitutrice (all'inizio unica presenza-assenza adulta, a parte qualche ubriacone molesto) che si allunga sui bambini addormentati, con le sue regole rigorose (non alzarti dal letto, non guardare fuori dalla finestra...). E quelle dell'ignoto, le paure ancestrali, le fantasie di libertà, che si aggirano per le strade notturne di Londra.

I primi 15 minuti di The BFG sono un concentrato di temi, topoi, stilemi del cinema spielberghiano. Sophie, la ragazzina, vince la paura, guarda dentro l'oscurità (fuori e dentro di sé) e si ritrova a faccia a faccia con un gigante, che la rapisce. Ed ecco che il mondo diventa improvvisamente più grande, anzi, gigantesco, ed entriamo in una realtà diversa, anche da un punto di vista cinematografico, in cui contano (appunto) le dimensioni, la convivenza di un bestione di 7 metri (gli altri giganti arrivano a 16) con l'eroina alta un metro e quaranta, l'artigianalità digitale che ormai può permettersi qualsiasi cosa.

Siamo dentro uno dei libri per ragazzi più letti e amati di sempre - pubblicato lo stesso anno in cui uscì E.T. - e Spielberg sembra preoccupato più che altro di rispettare i dialoghi originali (con i giochi linguistici del "gobblefunk") e il lavoro dei tecnici, a scapito del ritmo e della qualità delle invenzioni. Sembra incredibile, ma stavolta capita perfino di annoiarsi. Capita anche a Spielberg. C'è più mestiere che meraviglia. O per dirla in un altro modo, c'è più il produttore che il regista.

Anche se poi ci si ritrova alla corte della regina d'Inghilterra e la storia e il film prendono finalmente quota, con una sostanziosa iniezione di ironia. Il Potere, qui presente nella sua forma più benevola (salvo poi cimentarsi nel finale in un'inquietante deportazione militare), deve piegarsi alle ragioni dell'immaginazione, del sogno, di una ragazzina accompagnata da un gigante. E il protocollo regale finisce sovvertito dalla strana coppia, esplodendo in uno spettacolo pirotecnico di peti esplosivi.

Tutto qui? Più o meno. Ci sarebbe anche la questione dei sogni, di cui il gigante va a caccia, e che hanno perfino il potere di convincere una regina che l'impossibile è diventato reale. Ma anche in questo caso la visione fatica a stare al passo con l'immaginazione che l'ha suscitata.

Restano la bella storia di amicizia e quei momenti magici in cui Spielberg sembra quasi evocare il mito del proprio cinema.