Noah Baumbach

Baumbach, il reazionario

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- Monsieur pardon, vous n’avez rien contre la jeunesse? - Si, moi j’aime bien les vieux!  (À bout de souffle, Jean-Luc Godard)

Non deve aver una grossa fiducia nell’umanità Noah Baumbach – e come dargli torto – se riesce a imbastire un film totalmente pessimista come While We’re Young, camuffandolo da commedia lieve e ironica.

Una coppia di quarantacinquenni senza figli – lui filmmaker con all’attivo un solo film, che da anni tenta di terminare un documentario sul capitalismo e nel frattempo si arrabatta insegnando all’università, senza un grande seguito; lei circondata da amiche che non fanno che decantare le meraviglie della maternità, tra poppate e pannolini, e impegnata come assistente e produttrice del padre, grande cineasta, che compatisce il genero impantanato in un progetto che non vedrà mai la luce – inizia a frequentare una coppia di venticinquenni, in apparenza alternativi e liberi, ottenendo dall’incontro coi due la voglia di rivedere la propria vita e, pateticamente, di tornare a sentirsi giovani.

Il disagio dei protagonisti, soppiantati per vivacità, scaltrezza, ambizione e rapidità dai ragazzi che mischiano hamburger, vinili, vecchie videocassette, iPhone e abiti vintage, in una sorta di delirio postmoderno nel quale tutto è livellato e diventa intercambiabile, non viene però accompagnato dalla profondità di sguardo, sottile e intelligente, che Baumbach aveva dimostrato di possedere nel magnifico Greenberg (2010).

Il fallimento del suo protagonista e della generazione a cui appartiene, le sue vicende di personaggio depresso e fragile, che ritrova gli amici dell’adolescenza e tenta di intraprendere una problematica relazione con una ragazza altrettanto insicura e impacciata, erano raccontate attraverso una grazia dolorosa, il corpo che diventava un ingombro, i gesti imbarazzati e incerti, come quelli di chi ha subito un trauma e teme di soffrire di nuovo, la disperazione a tratti crudele che porta chi è ferito a ferire le persone amate.

Anche le sequenze in cui la contrapposizione tra ventenni e quarantenni era dichiarata in tutta la sua ferocia – la bellissima scena della festa, per esempio – non scivolavano in cliché grossolani, ma venivano arricchite in maniera acuta da particolari che permettevano al regista di raccontare, attraverso la cultura pop, le differenze tra le due parti – la discussione su che canzone ascoltare dopo aver sniffato cocaina, col protagonista che propende per una canzone dei Duran Duran, The Chaffeur, poiché quella musica rimanda a un immaginario in cui quel tipo di droga ha un senso, mentre i ragazzi chiedono gli AC/DC o i Korn, realtà lontanissime fra loro, così come da un immaginario performativo e sistemico quale quello evocato per Greenberg dalla cocaina, e che tuttavia fluiscono senza stridere in una sorta di candida indistinzione.

In While We’re Young questo tipo di sensibilità, che di solito deriva da una sorta di affetto per i personaggi, è totalmente assente. Nonostante nessuno dei quattro protagonisti sia effettivamente “in salvo” – la coppia più adulta è in realtà immatura e vampiresca nei confronti della giovinezza che le passa accanto; quella formata dai due ragazzi risulta piuttosto vacua –, la gioventù in questo film appare quasi mostruosa, tanto è manipolatoria e arrivista, cinica e pronta a tutto. Per quanto insulsi e naïves, gli adulti hanno ancora a cuore i sentimenti (l’amicizia, l’amore, il “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”), mentre i ragazzi sono pronti a tradire chiunque e qualsiasi cosa pur di affermarsi.

Questa dicotomia tanto banale quanto reazionaria in realtà svela, ancora una volta, il terribile equivoco nel quale spesso gli enfants prodiges di belle speranze e pieni di talento cadono una volta ottenuto qualche riconoscimento: essere detentori di un sapere e di un’arte. Passare dall’essere originali e freschi a crearsi un mausoleo nel quale tumularsi.

Così come il cinema indie, che al Sundance sembra avere la sua apoteosi, ha creato un genere a sé stante, diventando ormai da tempo la copia di una copia di una copia, chi come Noah Baumbach aveva qualcosa da dire, negli ultimi due film non solo pare aver perso il gusto per il rischio, ammiccando allo spettatore dai gusti cinefili - e in questo Frances Ha (2012) ne è l’esempio lampante - e togliendo qualsiasi complessità ai personaggi e alle situazioni, ma, cosa ancor più grave (benché strettamente legata a quanto appena detto), realizza film conservatori.

Lo sguardo impietoso sulla giovinezza sembra soprattutto il sintomo della paura di poter essere messi in scacco e rimpiazzati da qualcuno che, per ragioni anagrafiche, è in grado di percepire con maggior rapidità e in maniera quasi fisica i cambiamenti in corso: da questo punto di vista la sequenza finale è davvero emblematica.

La demonizzazione di una delle due parti in gioco non porta mai a grandi risultati, il pericolo è quello di non essere più in grado di guardare al di là di sé stessi, di rinchiudersi da soli in una casa degli specchi, vedendo riflessa solo la propria immagine, che diventa, di volta in volta, sempre più alterata e lontana dalla realtà.

 

 

Giovani si diventa
Stati Uniti, 2014, 97'
Titolo originale:
While We're Young
Regia:
Noah Baumbach
Sceneggiatura:
Noah Baumbach
Fotografia:
Sam Levy
Montaggio:
Jennifer Lame
Musica:
James Murphy
Cast:
Charles Grodin, Amanda Seyfried, Adam Driver, Naomi Watts, Ben Stiller
Produzione:
Scott Rudin Productions
Distribuzione:
Eagle Pictures

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