Paul Thomas Anderson

Inseguire il Sogno

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«Hippies believe the world could be a better place. Beatniks believe things aren’t going to get better and say the hell with it, stay stoned and have a good time

Lo ha detto Janis Joplin, una che se ne intendeva, una che è morta proprio a Los Angeles e proprio nel 1970. Una che quindi, forse, avrebbe potuto incrociare la strada di Larry “Doc” Sportello.

Come avrebbe definito Doc, la Joplin? Un hippie, come viene costantemente apostrofato con disprezzo dalla gente, o un beatnik? Forse un hippie costretto a ritirarsi, ad abbassare la mira delle sue ambizioni e a limitarsi all’orizzonte edonista dei beatnik.

Anche se Doc, nonostante il Sogno, suo e di tanti altri, sia stato trasformato nell’incubo del reale da coloro che sono e saranno sempre vicini al potere, ai soldi, al comando («they’re helping me wake up from my bad hippie dream», dice Mickey Wolfmann a Doc), i remi in barca non li ha tirati del tutto. Non cede mai completamente alla paranoia che sembra accerchiarlo e attanagliarlo fin dall’inizio del film (“paranoia alert”, si appunta sul notes durante l’incontro con Tariq Khalil, uno dei primi dei tanti a venire), che domina le atmosfere tristi e a tratti quasi funeree della fine di un’era; e almeno un sogno, tutto suo, quello dell’amore, vuole continuare a sognarlo.

Doc Sportello sembra un elemento alla deriva, un pezzo di legno che fluttua e galleggia attraverso la vita e il cinema, che pare essersi felicemente rinchiuso nel suo mondo annebbiato dall’erba: ma è in realtà un irriducibile e minimale resistente. Uno che la resistenza la pratica attraverso i piccoli gesti di ordinaria bontà, di semplici altruismi, di good vibrations sparse in giro a uso e consumo di chi voglia o possa sintonizzarcisi.

Vizio di forma è un capolavoro in curiosa sincronia con l’altro grandissimo film di questi primi mesi del 2015, Blackhat. E che con il film di Mann ha paradossalmente tantissimo in comune. Se Blackhat è un film di fantasmi, lo è ancora di più quello di Paul Thomas Anderson, dove tutto è etereo, sfumato, liquido, dove tutto funziona tramite (im)percettibili dissolvenze: del reale, dei luoghi, dei personaggi e delle idee. Se il Nick di Mann (che è un altro resistente) si muove nel mondo e nel film con l’agilità sperimentale e ipertestuale della Rete, Doc è alla deriva ma in senso debordiano, e Vizio di forma esplora la relazione tra lui e Los Angeles con i criteri di quella psicogeografia che della cultura digitale e di Internet è stata in qualche modo precorritrice, precipitandolo in un marasma di eventi tutti intrecciati, tutti digitalmente sincronici.

Ma il loro punto di approdo è il medesimo: l’approdo di qualcuno che si vuole affrancare dall’incubo, smarcare dal Sistema e vuole inseguire il sogno (o il fantasma?) del futuro e dell’amore.

Anderson, nel suo classicismo e nel suo amore per la pellicola, non è meno sperimentale di Mann, e come lui usa un linguaggio tanto essenziale quanto capace di incredibili ellissi (pensiamo alla scena in cui Doc è in auto con la Sortilège di Joanna Newsom, e dopo un semplice stacco di montaggio si ritrova solo) e di fare del suo film un fluido unico attraverso le sovrapposizioni, scena dopo scena, di voci, musiche, personaggi: come quando, gettando Vizio di forma nel flusso unico di tutto il suo cinema recente, Doc si sovrappone a Bigfoot, quando i due diventano uno, uno riflesso deformato dell’altro: solo che il primo è al massimo sgomento, il secondo è imploso e disperato.

Lo sguardo del regista su quel mondo, sul mondo di sempre, è languido eppure disincantato, disperato eppure sardonico. Con un film tutto ravvicinato, tutto in primo piano, tutto dialoghi lunghi e dilatati, senza mai fretta nonostante racconti un inevitavibile movimento e un’inarrestabile progressione, Anderson fa di Doc un personaggio serenamente imprigionato nei quattro lati dell’inquadratura, esattamente come lo racconta serenamente imprigionato dentro Los Angeles e il suo incubo.

Perché nonostante tutto Doc non cede: la sua maschera deadpan, che ogni tanto si abbandona allo slapstick, riesce a essere esilarante anche quando tutto intorno a lui odora di decomposizione e corruzione. Con quella lucidità possibile solo in stato di alterazione, Doc sceglie di continuare a sognare il suo sogno, di aiutare qualcuno a ricominciare a farlo (perché sognare è vivere, e viceversa) e di continuare a amare Shasta.

È un’allucinazione, Shasta? Lo è fin dalla prima scena? Lo è solo nel finale? Non lo è mai? Poco importa. Perché in Vizio di forma tutto è “come essere sott’acqua”, come dice la ragazza: è tutto già dentro un universo ovattato e autosufficiente, sul quale è inutile porsi troppe domande.

Perché abbracciato al suo sogno, Doc può magari far riemergere fugacemente la paranoia quando i suoi occhi sono illuminati dai fari di chi lo sta seguendo: forse i fari di Bigfoot, del Golden Fang, del Lancaster Dodd di The Master o del Daniel Plainview del Petroliere. Ma alla fine ne può sorridere smaliziato, senza paura: perché con i suoi gesti, con i suoi sogni, forse Doc non è un hippie, forse non è nemmeno un beatnik, ma di sicuro è un uomo libero.

 

Vizio di forma
Usa, 2015, 148'
Titolo originale:
Inherent Vice
Regia:
Paul Thomas Anderson
Sceneggiatura:
Paul Thomas Anderson
Fotografia:
Robert Elswit
Montaggio:
Melanie Oliver, Leslie Jones
Musica:
Jonny Greenwood
Cast:
Joaquin Phoenix, Katherine Waterston, Eric Roberts, Josh Brolin, Benicio Del Toro, Reese Witherspoon, Jena Malone, Owen Wilson, Martin Donovan, Sasha Pieterse, Martin Short, Joanna Newsom, Jillian Bell, Maya Rudolph, Wilson Bethel, Anders Holm, Yvette Yates, Elaine Tan, Thomas Pynchon
Produzione:
Paul Thomas Anderson, Daniel Lupi, Joanne Sellar
Distribuzione:
Warner Bros.

 “Vizio di Forma”, adattamento del settimo e più divertente romanzo di Thomas Pynchon, è il settimo film scritto e diretto da Paul Thomas Anderson. Un noir surf  in cui la storia è avvolta nella foschia fumosa e nella luminescenza al neon della controcultura americana. L’ex compagna del detective Doc Sportello si rifà viva all’improvviso con una storia sul suo attuale fidanzato miliardario, del quale, si dà il caso, sia innamorata. Le trame della sua ex moglie e del suo ragazzo per rapire il miliardario, portano il detective sull’orlo della pazzia… Siamo alla fine degli psichedelici anni ’60, ‘paranoia’ è la parola più ricorrente. 

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