Hou Hsiao-Hsien in otto passaggi

archives top image

In occasione dell'uscita in sala di Assassin di Hou Hsiao-Hsien, vincitore del Prix de la Mise en Scène a Cannes 2015, siamo andati in archivio a ripercorrere un po' di storia di questo grandissimo autore con le recensioni che i collaboratori di Cineforum, negli anni, hanno fatto dei suoi film negli speciali dai Festival.


Su Cineforum 288, ottobre 1989, Bruno Fornara recensisce da Venezia Bei qing cheng shi (Città dolente) e, con Leonardo Gandini, intervista il regista:

"Città dolente è costruito con pochissimi movimenti di macchina, senza primi piani, per quadri fissi e tenuti a lungo dentro i quali assumono forte rilicwo la profondità di campo, il fuoricampo, il fervore interno alla scena nella prima parte, poi i silenzi. Hou sceglie di guardare la sua storia da lontano, non si preoccupa, nella parte iniziale, di identificare narrativamente e introdurre uno per uno i personaggi. Il clan familiare, il vecchio padre, quattro fratelli (uno, disperso nelle Filippine, non si vedrà mai), le loro mogli, i figli fanno gruppo, vivono nel chiasso (che sfracelli farà il doppiaggio), sono pronti per tentare la fortuna approfittando della fine della guerra. Poi, il gruppo si assottiglia; molti personaggi escono di scena; le speranze, anche quelle politiche, si affievoliscono. Resta un fratello, sordomuto, e il film diventa sottile, malinconico. Come già in Un'estate col nonno (1984) e Le passate cose dell'infanzia (1985), Hou riesce ad unire insieme la sobrietà e la misura con l'intensità e la commozione."

Su Cineforum 345, giugno 1995, Filippo D'Angelo recensisce da Cannes Hao nan hao nu (Good Men, Good Women):

"... l'autore de I ragazzi di Fengkuei prosegue con coerenza la sua opera di prosciugamento, di essenzializzazione dell'apparato espressivo. Hannan Hao nan hao nu se possibile, è ancora piü stilizzato, rarefatto, controllato del precedente Il maestro di marionette, a conferma di un'idea di cinema forte e imprescindibile ma anche della necesstà di domare, attraverso la continuità del piano-sequenza, l'immobilità della cinepresa e l'asciuttezza del montaggio, una materia narrativa e tematica troppo incandescente."

Su Cineforum 355, giugno 1996, Steve Della Casa recensisce da Cannes Nan guo zai jian, nan guo (Goodbye South):

"La regia ricorda Scorsese, o quantomeno ha la stessa energia al di là del facile accostamento tra le storie che vengono raccontate qui o in Casino e in Goodfellas. La forza di Hou Hsia-Hsien, d'altro canto, sembra fondarsi soprattutto sul fatto che è l'unico regista cinese a sottrarsi all'occidentalizzazione: il sud che racconta con durezza e partecipazione un sud che trae la doppia dominazione cinese e giapponese e al tempo stesso un sud che per il regista assume il significato di Heimat."

Su Cineforum 375, giugno 1998, Angelo Signorelli recensisce da Cannes Hai shang hua​ (I fiori di Shanghai):

"Hou Hsiao-hsien entra nei luoghi di piacere e vi rimane ad osservare il formarsi dell'intreccio, lasciando che il tempo si costruisca attorno ai personaggi e agli oggetti. La macchina da presa si muove, oscilla con lentezza, con insistenza, spostandosi in spazi brevi ma con movimento morbido e continuo, tra le figure presenti. [...] Il cinema di Hou Hsiao-hsien suggerisce un atteggiamento contemplativo che sia prima di tutto mentale, sgombro da l'avidità propria della tendenza identificativa. Anche chi osserva deve mettersi in uno stato di attesa; solo in questo può ricomporre i pezzi della narrazione e interrogare il senso della scrittura cinematografica. "

Su Cineforum 406, luglio 2001, Carlo Chatrian recensisce da Cannes Qian xi man po (Millennium Mambo):

"Nella completa libertà di racconto, concessa al suo personaggio (Millennium Mambo è il film più scevro da ogni psicologia o struttura finalistica 
che si possa pensare) si ritrova il nucleo etico dl questo maestro orientale. Forse, vedendo film, altro non facciamo che ricostruire momenti del passato, dando loro una forma affatto nuova. Se il cinema atto intimo, associabile a fenomeni psichici cosi privati da tenerli protetti ai nostri stessi occhi la magnifica ossessione di Hou Hsiao Hsien è quella di non imporre una forma ai nostri sogni. Lasciarci liberi nell'affrontare il ricordo di un passato-futuro che ci accompagna giorno dopo giorno."

 

Su Cineforum 439, novembre 2004, Massimo Causo recensisce da Venezia Kôhî jikô (Café Lumière):

"E come se Hou Hsiao-hsien si fosse immerso ancora più a fondo in quella limpidezza del segno che è la traccia perenne del suo filmare: una linearità semantica che gratifica il portato elementare delle emozioni di cui si fa tramite sia a livello di storia che a livello di discorso, facendo emergere piccoli segnali di innata realtà esistenziale dalla semplicità di gesti quotidiani e funzioni espressive minime. La forza formidabile di un film come Café Lumière sta, infatti, nella sua capacità di tradurre in verità semantica proprio la semplicità della rielaborazione espressiva degli eventi minimi messi in scena di sequenza in sequenza, a fronte di quell'universo quotidiano che, con il suo impalpabile equilibrio dinamico, ha ispirato lo sgaurdo del regista."

Su Cineforum n. 446, luglio 2005, Fabrizio Tassi recensisce da Cannes Zui hao de shi guang (Three Times):

"Three Times (nato come trittico per tre registi, trasformato in meditazione in tre parti del Regista), è un film fatto di attimi, di momenti magici, di cose che si percepiscono sotto e dento lo stile limpido di Hou Hsia Hsien, emozioni che appartengono all'eterno presente dell'uomo e si incarnano cambiando senso per sopravvivere (sublimati, censurati, goduti, rimandati, ingannati, consumati) e vengono esaltate da una trama di immagini che entra sottopelle. [...] Si entra in Three Times dalla porta di dietro come sempre, senza presentationi e formalità. Comincia il film e sei dentro una "situazione". Non è il regista che ti dice cosa guardare, sei tu che ti devi orientare."

 

Su Cineforum 466, luglio 2007 Alberto Crespi recensisce da Cannes Le voyage du ballon rouge:

"Hou Hsiao Hsien è in questo momento uno dei migliori registi viventi, e soprattutto un artista immenso, di categoria superiore a 
tutti i "cineasti" che si arrabattano nel trovare nuove formule cinematografiche per raccontare il mondo. Quasi tutti i cineasti cercano: Hou Hsiao Hsien, molto semplicemente, trova. Come Buñuel, come Bresson, come Ford: uno di quegli artisti che ti danno la sensazione di usare il 
cinema per parlare d'ultro, per puntare a bersagli enormemente più alti della semplice idea di film risucito. Quando si ha una visione artistica delle cose talmente potente, ogni spunto può essere buono creare capolavori."