Concorso

Cartas da guerra di Ivo M. Ferreira

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António Lobos Antunes lavora come medico da campo in un distaccamento dell'esercito portoghese durante la guerra in Angola. È il 1971, quella di António è una storia vera, e vere sono le lettere spedite alla moglie incinta, che il film riprende interamente, facendole leggere in voce over da una voce femminile. Vere sono le parole che raccontano il travaglio interiore di un uomo separato dal proprio amore e costretto a vivere in una terra di cui subisce il fascino e la paura. "Questa terra ci trasforma in insetti", scrive all'incirca a un certo punto António, "ci trascina in un fiume ininterrotto di sensazioni ed emozioni". Un fiume come quello generato dalle parole di António, spesso incontrollate, eccessive e patetiche, espressione di tutto il sentimento e l'energia che l'uomo trattiene nel volto impassibile, nel'incidere lento e nel pensiero razionale che lo guida in ogni situazione, anche la più drammatica. 

António è il film, e il film è come António: sospeso, svagato, in continuo ma falso movimento, con la macchina da presa che si muove con carrelli lenti e compassati, la fotografia in bianco e nero che ammanta la terra d'Africa di sonnolenta pesantezza, il racconto che fonde senza soluzione di continuità reportage di guerra, riflessione storica sul colonialismo, resoconto diaristico della vita da campo. L'anima sta altrove, sta nelle parole di António, che dettano il ritmo del film, lo appesantiscono, lo guidano; tracciano legami fra il protagonista e la sua sposa, dando vita anche a una impossibile scena d'amore solitario e condiviso.

Cartas da guerra è in fondo il titolo del film: lettere, nient'altro che lettere recitate fuori campo, mentre in scena viene rappresentata la silenziosa e impotente autodistruzione di un uomo. Certo, va detto, Ivo M. Ferreira non è Miguel Gomes, e il suo film, con l'aggravante di essere prodotto dalla stessa O Som e Fúria, non è Tabu. O, peggio ancora, viene dopo Tabu e di Tabu non riesce a raccogliere la sfida sperimentale. Nel capolavoro di Gomes, infatti, la separazione fra testo e racconto, voce e immagine, generava un nuovo, per quanto impossibile racconto del '900, tra mélo, cinema muto e rielaborazione storica post-coloniale. Qui c'è solo forma, spalmata sul contenuto e nemmeno opposta a esso; qui c'è solo freddo desiderio che insegue vanamente, come sostiene António nella sua prima lettera, la grazia di Botticelli o la generosità dei corpi di Ingres.