Forum

Le fils de Joseph di Eugène Green

focus top image

Meno rigoroso di un tempo, ancora più ironico e divertito, sempre legato ai temi della grazia, della religione e dell'eredità culturale del barocco, Eugène Green continua a fare un cinema unico e irripetibile.

In Le fils de Joseph racconta la storia di Vincent, ragazzo senza padre, rabbioso e vendicativo, che grazie all'incontro con Joseph, peccatore redento dal proprio passato, trova la serenità e contribuisce alla creazione di una nuova famiglia. I modelli narrativi vengono dalla Bibbia, dalla storia di Abramo e dal sacrificio di Isacco, dalla nascita di Gesù e dalla creazione della Sacra famiglia; quelli pittorici dal Caravaggio, direttamente citato nel film; quelli musicali, come sempre, dal melodramma barocco e dai madrigali del compositore Domenico Mazzocchi.

Green cala nella Parigi contemporanea e nell'ambiente della cultura bobo il suo mondo ieratico e magico, fatto di primi piani dall'impostazione pittorica, di piani frontali, piani fissi e movimenti di macchina calibrati. Nella prima parte del film si diverte a demolire con la sua tipica ironia sciocca una serie di intellettuali vanesi e caricaturali, infilando situazioni da pochade o da commedia buffa. L'effetto di totale straniamento è comico, al limite del demenziale, così puro e creativo da farsi perdonare la totale gratuità delle situazioni. L'originalità del cinema di Green, in fondo, sta proprio nel legame inatteso fra le inquadrature, nella dimensione inconsueta che viene a crearsi dopo ogni stacco di montaggio, nella sospensione temporale e nell'unicità spaziale dei suoi mondi.

Green crea il sacro a partire dal quotidiano; o, piuttosto, porta il quotidiano a un tale limpidezza formale (con l'inquadratura svuotata di elementi e arricchita di linee geometriche, con i colori che rimano fra loro, con la luce che cala morbida sui personaggi) da entrare nella dimensione del sacro. "Credi in Dio?", chiede a un certo punto Vincent a Joseph. "A mio modo sì, e questa è da sempre la mia debolezza", risponde l'uomo. E la dimensione religiosa è anche, da sempre, la debolezza di Eugène Green, il suo approdo naturale. La religione intesa come modello di pensiero ed eredità culturale, non tanto come riferimento spirituale. La religione come ricerca di modelli mitici e figurativi da applicare alle azioni degli uomini. La religione, ancora, come creazione umana e solo dopo come voce e presenza del divino.

Quando ad esempio Vincent sta per uccidere il padre (un perfido editore interpretato da Mathieu Amalric), in una posa che imita l'Abramo di Caravaggio, prima di affondare il coltello il ragazzo guarda verso la parete che ha di fronte: ciò che vede è semplicemente uno spazio bianco, una luce con vaga forma di angelo, ma proprio in quella figura indefinita scorge la presenza di Dio e blocca la mano. "Non è Dio che chiede a Abramo di uccidere Isacco", dice Joseph a Vincent; "ma sua è la voce che convince l'uomo a non uccidere". Dio, per Green, è in quella luce. Ma quella luce non esiste, è una nuda parete, e Dio sta nell'occhio puro del ragazzo, nella sua voce interiore.

Ogni aspetto della trama religiosa di Le fils de Joseph nasce da una visione del sacro circoscritto nei confini della realtà. Green confonde le relazioni fra i personaggi, prende una tradizione e ne smuove gli elementi; inserisce viandanti, asinelli, fughe in Egitto (in realtà su una spiaggia della Normandia), sacrifici e sacrificati creando un mondo nuovo a partire da un'iconografia riconoscibile e interpretabile. Come sempre nel suo cinema, la sospensione dell'ascolto rivela la ricchezza dello stupore e del silenzio, mentre l'emozione che traspare dai volti dei suoi personaggi, non più velati di ironia ma illuminati dalla grazia, rappresenta nel finale i termini complementari del pentimento e del dono.

La semplicità della messinscena libera il racconto da ogni possibile forzatura narrativa. L'immagine si fa pura, come in un dipinto, e dentro una cornice di bellezza incontaminata ogni personaggio di Le fils de Joseph, finalmente pronto a essere se stesso (una madre, un padre, un figlio), abbandona il modello di riferimento per diventare una piccola, splendida figura degna d'amore e compassione.