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The Green Fog di Guy Maddin, Evan Johnson, Galen Johnson

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Di inseguimenti sui tetti di San Francisco, la storia del cinema ne è davvero piena. Lo sa molto bene Guy Maddin, così come lo sanno i suoi collaboratori Galen Johnson e Evan Johnson. Ed è esattamente da lì che decidono di partire con il loro folgorante The Green Fog: da un inseguimento sui tetti di San Francisco. O meglio, dall’inseguimento sui tetti di San Francisco per eccellenza, scolpito ormai nell’immaginario cinefilo: quello di La donna che visse due volte

Un incipit che restituisce il senso dell’operazione del cineasta canadese: rievocare – non copiare o ricalcare – attraverso un collage composto da centinaia di frammenti provenienti da altrettanti film, la struttura narrativa del capolavoro di Alfred Hitchcock, riuscendo però al contempo a creare qualcosa di “totalmente” nuovo. Un mosaico cinefilo, un gioco di rimandi e citazioni – una sorta di remake/remix/omaggio – che mette, prima di ogni altra cosa, al suo centro l’eterno ritorno di un passato da cui è impossibile smarcarsi. 

Un’idea che riflette in modo lucidissimo la sensazione comune che oggi, a livello cinematografico, tutto sia ormai già stato detto, scritto, visto e raccontato e in cui, schiacciati dal peso di un passato impossibile da superare, l’unica via percorribile appare quella del ripescaggio, del remix e del rimodellamento dei miti di ieri. Una sensazione che funge da specchio anche per la frammentarietà del quotidiano, che non permette altro che un continuo gioco di rimandi, citazioni di citazioni e scarti parodici che spesso e volentieri precludono ogni possibilità di vivere una narrazione del presente lineare ed autentica.

Eppure una sinfonia cinefila come The Green Fog diventa anche testimonianza del fatto che, nonostante non sembra esserci rimedio all’incessante riapparizione del passato, nonostante continuino a essere riproposte sempre le stesse storie, le stesse dinamiche narrative, gli stessi personaggi e le stesse location, esisterà sempre qualcuno disposto ad ascoltarle e viverle, quelle storie. Un cinema che visse due, duecento e duemila volte, insomma, e che probabilmente non smetterà mai di tornare.