Proiezioni speciali

Twin Peaks di David Lynch

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Occorrono ben due puntate per ritornare davvero a Twin Peaks, e per ritornarci (immagino) insieme all'agente Cooper, intrappolato nella Loggia Nera; e noi come lui perduti tra incubi, omicidi e misteri che spaziano da una New York City aerea fatta di cristallo e luci, Buckhorn, cittadina residenziale del South Dakota e Las Vegas, Nevada.

Di Twin Peaks, 51.201 abitanti (ma non sappiamo quanti sono oggi), solo pochi accenni, sprazzi riconoscibili, come la foresta, dove si è rifugiato a vivere in una vecchia roulotte il dottor Jacoby (vestito da contadino, ma ancora con il vezzo dei doppi occhiali), il Great Northern Hotel, dove i fratelli Horne continuano il loro affari e i loro battibecchi, e l'ufficio dello sceriffo Truman (che non comparirà nella terza serie), con Andy svanito come allora (ma ingrassato) e Lucy che lo comanda a bacchetta e il vicesceriffo Hawk che, da buon pellerossa, sa seguire le tracce esoteriche che gli arrivano dalla sua cultura e dalle telefonate della Log Lady, la signora con il ceppo, troppo ammalata per uscire di casa (come l'attrice che la interpretava, Catherine Coulson, scomparsa alla fine del 2015).

Aperta dall'enigmatico appuntamento che Laura Palmer dava all'agente Cooper nella Loggia Nera ("Ci rivredemo tra 25 anni") e poi dalla nebbia che dirada per rivelare il bosco, la segheria in rovina, i corridoi della scuola e, nella bacheca di vetro, i trofei e le foto scolastiche con al centro quella di Laura, sulla quale attacca il tema leggendario di Angelo Badalamenti (incupito nei toni e rallentato nel ritmo), dopo gli scarni titoli di testa la terza serie di Twin Peaks ci riporta immediamente nella misteriosa stanza dalle tende rosse e il pavimento dechirichiano a listelli contrastanti, dove, in bianco e nero, il Gigante offre alcuni dei suoi criptici indizi a Dale Cooper, quello di oggi, invecchiato. Grande David Lynch che, per riaprire la sua serie cult, ricomincia addirittura da Eraserhead, dai suoi volumi, dai suoi rumori, dalla sua surreale indifferenza per la logica e la consequenzialità. Appunto, siamo imprigionati nella sua testa e nel suo (nel nostro) immaginario, nei sogni che dicono e non dicono, nell'apparente mancanza di connessione tra una testa e un corpo che non coincidono rinvenuti a Buckhorn e una grande scatola di vetro sospesa in un hangar a New York, tra gli affari sporchi di un boss di Las Vegas e gli omicidi violenti seminati in giro da un doppelganger capellone e cattivo di Cooper. Perché tutto deve ripartire dall'ultima inquadratura dell'episodio finale della seconda serie, quando Dale, guardandosi allo specchio, vedeva non il proprio riflesso ma quello di Bob, quella specie di hippie invecchiato e sadico che s'impadroniva del corpo di altri per compiere i propri efferati omicidi, il vero assassino di Laura Palmer e delle altre ragazze. Poi, 25 anni di vuoto, durante i quali Bob è stato in questo mondo e l'agente Cooper nell'altro. Finché qualcosa non si muove, nella "porta" in mezzo al bosco e dentro la Loggia, e Dale viene risucchiato da qualche parte e, probabilmente, torna a Twin Peaks. E sono gli ex ragazzi della vecchia cittadina a chiudere la seconda puntata della nuova serie, al Bang Bang Bar (il vecchio Roadhouse), tra colori caldi e rumori familiari, mentre sul palco in Chromatics eseguono Shadow, chiaro omaggio a Julee Cruise.

David Lynch e Mark Frost si confrontano con la serialità contemporanea e, ancora una volta, stupiscono: senza preoccuparsi di ritmi sempre più vorticosi, si prendono il loro tempo, rallentano, oscillano tra atmosfere alla Mulholland Drive e buchi neri alla Strade perdute, tra imperturbabili divagazioni comiche e una violenza cruda ed esplicita che allora, nel 1990, non potevano permettersi. In due ore, mettono in cantiere tracce, personaggi e linee narrative più che sufficienti per le 16 puntate successive, ci tirano dentro nuovi misteri, ma non dimenticano mai di riafferrare i caratteri e gli umori della vecchia serie. E ci trascinano di nuovo dentro una Twin Peaks più astratta e cupa, ma ancora irresistibile, bizzarra e umana. Bentornati.