Concorso

Wondestruck di Todd Haynes

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Wonderstruck inizia con un incubo: un branco di lupi che di notte minacciano il giovane protagonista Ben. Lui ha il volto sempre contratto e piange una mamma bibliotecaria appena morta in un incidente e un padre mai conosciuto che il ragazzo sogna di ritrovare.

Siamo nel Minnesota degli anni Settanta: la neve a coprire un futuro già segnato dal lutto e dall'assenza. Nel New Jersey di cinquant'anni prima, la sordomuta Rose passa le giornate ritagliando le foto della madre stella del muto, lontana da casa per calcare i teatri di posa di Hollywood o i palcoscenici di Broadway. Entrambi i giovani hanno perso qualcosa – gli affetti, i suoni, la parola – ed entrambi vogliono cercare un modo per riempire il loro vuoto.

Quando Ben perde l'udito durante un temporale, il ragazzo decide di seguire una labile traccia dell'esistenza del padre (una dedica su un segnalibro che rimanda a una libreria newyorchese) ripercorrendo il viaggio nel cuore della metropoli che Rose aveva compiuto mezzo secolo prima alla ricerca della madre anaffettiva e del fratello maggiore.

Nell'adattare il libro di Brian Selznick – lo stesso autore dell'Hugo Cabret portato al cinema da Scorsese – Todd Haynes decide di utilizzare una messa in scena allo stesso tempo mimetica e simbolica, scegliendo stile e patina del cinema muto per la storia di Rose (siamo nel 1927, proprio nell'attimo in cui il sonoro cambia scenari e fruizione dell'universo cinematografico) e accompagnando Ben e il suo viaggio seventies con colori e musiche sgargianti.

L'arrivo in montaggio alternato dei due ragazzi a New York, accompagnato da una musica sinfonica che si rincorre e si rimbalza con il funky degli anni Settanta, è un pezzo magistrale di regia, che con pochi essenziali elementi riesce a raccontare la scoperta di un nuovo mondo, sconosciuto e in continuo cambiamento, quel cambiamento che i due protagonisti stanno cercando con profonda dedizione.

La New York degli anni Venti è una città in costruzione, con al suo centro i musei che testimoniano una potenziale grandezza in fieri: il Museo di Storia Naturale è la celebrazione infantile di un sogno evolutivo, un'isola dove scoprire ciò che la civiltà ha collezionato, catalogato e infine esposto con orgoglio. New York negli anni Settanta ha invece il colore (e i suoni) di una blaxploitation carnale e viva: l'arrivo di Ben ha così ancor di più il sapore di un'iniziazione, di un'uscita dal grembo materno per affacciarsi ai rischi e agli imprevisti della vita, così lontani dal bianco neve della sua provincia.

Sostenendosi sulla fotografia smagliante di Ed Lachman, che sembra trovare sfumature perdute nella rievocazione della golden age del cinema muto e che accende di passione sottilmente carnale la metropoli contemporanea, e sulla tessitura sonora stratificata e sublime di Carter Burwell, Haynes coglie lo spunto dell’avventura per ragazzi per raccontare una grande storia sentimentale capace di abbattere barriere sensoriali e spaziotemporali. I due ragazzi, pur senza poter sentire i rumori del mondo che scorre al loro fianco, si lasciano trascinare dalla loro necessità di affetti: fili abbandonati nel vento che tendono a riannodarsi come seguendo una propria forza magnetica.

Come spesso accade nel cinema di Haynes, al centro della scena c’è la volontà di assecondare una convergenza affettiva capace di superare gli scogli della meccanica di una griglia sociale precostituita (era così in Velvet Goldmine, Far From Heaven, Carol). Wonderstruck, infatti, ha come argomento principale quello del linguaggio – cinematografico, comunicativo, evocativo – e del suo possibile superamento, qui declinato con l'impronta delicata della fiaba. Lo stile, ostentato e maniacale, non sta a mascherare la diversa storia dei due protagonisti, quanto a marcare una differenza che via via scompare, svelando l’architettura emotiva del mondo.

Wonderstruck è un film-diorama, quello che invade magnificamente scena e racconto nell’ultima parte di film, proprio per la sua capacità esplicativa ed emblematica. Una sala di un museo che trabocca di relazioni possibili e potenziali, in cui l’amore abbatte il tempo e i lutti, attraendo persone come calamite. Potrebbe sembrare un'opera di maniera ma invece ci dice, come più volte ripetuto nel film, che il mondo è una discarica popolata di esseri che, a volte, riescono a guardare le stelle, come fluttuando nel cielo. Non a caso, infatti, il filo conduttore è affidato a Space Oddity: in fondo, nella nostra dolente solitudine e nella ricerca mistica di un contatto, siamo tutti dei piccoli Major Tom.