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Once Upon a Time… in Hollywood di Quentin Tarantino

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Nel 1969 c'erano gli hot pants, e gli stivali alti, bianchi e lucidi, gli jabots e le giacche con le frange, i capelli liscissimi oppure quelli afro. C'erano gli hippies, con le barbe, i capelli lunghi, le treccine e il messaggio di pace fiorito che, dopo il trionfo di Woodstock, già stava sfumando nel merchandising mondiale o addirittura nella violenza, come accadde (sempre in quell'anno) ad Altamont e al numero 10050 di Cielo Drive, Hollywood, dove nella notte tra l'8 e il 9 agosto la "famiglia" di Charles Manson sterminò cinque persone, compresa Sharon Tate e il suo bambino che sarebbe nato dopo poche settimane, nella casa di Roman Polanski, che era in Europa per lavoro.

Nel 1969, Hollywood si risvegliò traumatizzata: la Hollywood delle feste al Playboy Club, delle cene, delle ville con vetrate spalancate su giardini e piscine doveva mettere le sbarre alle finestre. E la Hollywood del grande cinema rassegnarsi alla decadenza in atto.

Con il suo nuovo film Quentin Tarantino acchiappa proprio questa Hollywood: attraverso la storia di Sharon Tate e quella di Rick Dalton, "the heavy", il cattivo di western sempre più B e di serie televisive in bianco e nero, e di Cliff Booth, il suo stuntman (somigliante a lui, ma più atletico e più bello), il suo autista, il suo handyman, il suo vero amico. Cliff vive in una roulotte parcheggiata di fianco a un drive-in insieme al suo pitbull, fedele e mangione, mentre Rick possiede una villa vicina a quella di Polanski e sua moglie Sharon, élite del cinema cui Rick guarda con una certa impacciata soggezione.

Tarantino incrocia la vita dei suoi protagonisti in due giorni di inizio febbraio e poi in quel fatidico 8 agosto, senza mai intersecarle (se non nel finale): Rick sempre più disilluso tra deludenti appuntamenti di lavoro e set sempre più dozzinali dove rischia di farsi rubare la scena da una bambina di otto anni, e Cliff rilassato, tra un'antenna da riparare e un passaggio a una hippie adolescente che gli fa attraversare la maestosa bellezza delle colline di LA per arrivare fino allo Spahn Movie Ranch, dove si sono stabiliti i seguaci di Manson e dove il regista costruisce una sequenza dai tempi, la tensione, l'ambiguità impagabili. Polanski s'intravede, mentre Sharon attraversa la vita con ridente bellezza, balla, rivede i suoi film, si toglie le scarpe.

In realtà, al di là di alcuni "tarantinismi" di troppo (le lunghe scene del set di Rick e quella della sua trasferta italiana a girare con Corbucci e Margheriti), Once Upon a Time… in Hollywood è un film molto tenero: tenerezza per il cinema scomparso, per My Darling Clementine, ma anche per Combat e Bonanza, per il Glenn Ford dei western cui DiCaprio somiglia molto e per il giovane Robert Redford, del quale il bravissimo Brad Pitt riprende la calma mascolinità (bravo anche DiCaprio, ma questo è il film di Pitt e del suo cane); tenerezza per una ragazza bella morta troppo presto e troppo male e per una lunga distesa di villaggi intrecciati l'uno all'altro tra le colline e l'oceano, dove una volta nascevano le fiabe e dove ogni tanto, forse, bisogna ricominciare a sognare.

Appunto: C'era una volta...