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Nel 1971, anno in cui esce Pomi d’ottone e manici di scopa di Robert Stevenson, la tecnica mista animazione-live action non costituiva certo una novità: esempi ante litteram erano già presenti nel cinema muto, sebbene il titolo più popolare e rappresentativo di questa “tecnica” fosse indubbiamente Mary Poppins del 1964, diretto dallo stesso Stevenson.

Il regista inglese, firma di molte pellicole Walt Disney in live action (da Il fantasma del pirata Barbanera del 1968 a Un maggiolino tutto matto del 1969), in questo caso punta su una vicenda che unisce magia e storia (siamo nel mezzo della seconda guerra mondiale), fantasia e cronaca.

Benché il film soffra di alcune lungaggini di troppo, c’è un momento che tutti, grandi e piccini indistintamente, ricordano: la partita di calcio tra gli animali.

Prevalentemente in live action, la pellicola dà qui pieno sfogo alla creatività animata della casa di Topolino: se si eccettua la presenza di un arbitro in carne e ossa, un frastornato David Tomlinson, la scena è interamente “d’animazione” e la resa ne trae immediatamente beneficio.

Divertente, sgangherato e surreale, il match mette a confronto la squadra gialla e la squadra blu: i primi sono i “cattivi”, arroganti, violenti e sicuri di sé (un leone, un coccodrillo, un rinoceronte, un facocero e una iena); i secondi, “i buoni”, sono timidi e impacciati (uno struzzo, un ghepardo, un canguro e un ippopotamo).

I giocatori, ognuno con le proprie peculiarità, danno vita a un impareggiabile balletto (quasi) completamente muto, inseguendo la palla da una parte all’altra del campo, osservati dai tifosi in tribuna e da due avvoltoi/infermieri pronti a entrare con la barella. Un momento di pura slapstick che, come in molte comiche del muto, si potrà risolvere soltanto in maniera imprevista e improvvisata. Se battere i due potenti portieri (un gorilla per i gialli, un elefante per i blu) sembra impossibile, il leone punta a un’azione solitaria dando vita al suo repertorio migliore: ruggire in maniera talmente forte da trascinare in porta il pallone (ormai sgonfio) insieme a compagni e avversari. L’arbitro, finito anch’esso in rete, non può far nulla e si ritrova (letteralmente in ginocchio) sottomesso alle legge del più forte.