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Stan & Ollie di Jon S. Baird

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Stan & Ollie inizia nel backstage del set di I fanciulli del West. I due attori stanno preparandosi a un ciak e discutono animatamente del loro futuro: Laurel è ormai stufo delle costrizioni artistiche a cui li sottopone il loro storico produttore, Hal Roach, mentre Hardy cerca di mediare, essendo consapevole delle clausole contrattuali e caratterialmente refrattario allo scontro. Il dialogo è descritto con un lungo carrello che li porta in scena dove, quasi senza soluzione di continuità, i due iniziano a recitare.

Sin dal prologo, il film di Jon S. Baird lavora sull’assenza di distinzione tra vita e copione, sulla duplicità dei caratteri e sulla conflittuale complementarietà che ha accompagnato esistenza e carriera di Laurel e Hardy. I due non potrebbero essere più diversi: Laurel è nervoso, introverso, ossessionato da un riconoscimento professionale a cui aspira con disperato furore, Hardy è allegro, empatico, dedito alle passioni terrene (amicizie, hobby, amori) più che al sacro fuoco dell’arte. Il film, dopo averceli mostrati nel pieno del successo, fa quindi un salto in avanti e ci porta nel 1953, anno in cui, passati i fasti cinematografici degli studios hollywoodiani, Laurel e Hardy si imbarcano in una tournée nel Regno Unito, segnata da alberghi tristi, teatri inizialmente semivuoti e una dose massiccia di rivendicazioni e rimpianti. Stan porta nel cuore ancora le ferite di ciò che lui considera un tradimento (la decisione di Hardy di girare un film senza di lui: Zenobia, con Harry Langdon); Ollie è ormai stufo dei capricci e delle ambizioni dell’amico e deve controllare uno stato di salute che inizia a fare le bizze. Quando le due mogli li raggiungono in tour, raddoppiando le ragioni e i torti dei loro compagni, il fantasma di un possibile scontro si concretizza implacabile.

Il film si fa quindi storia malinconica, sciorina in tre atti il percorso di un’amicizia come fosse quello di una storia d’amore senza tempo (il riavvicinamento, il conflitto, la pacificazione catartica), nasconde la messa in scena per regalare il palco ai magnifici protagonisti. Perché Stan & Ollie è principalmente un tour de force mimetico dei suoi interpreti: John C. Reilly, nascosto ma non frenato dal costume che lo rende obeso, regala una tenerezza sfrontata al suo Ollio, mentre lo Stanlio di Steve Coogan è intriso di un cinismo amaro e di una disillusione feroce. L’impatto mimetico informa e definisce il film, ne detta tempi e toni – che Baird governa con scoperta semplicità, chiamando a comando risate e lacrime – in una messa in scena semplice e languidamente pop. Così i due “vecchietti irresistibili” si trovano a riportare in vita la magia dei loro vecchi numeri di fronte a un pubblico che li venera senza conoscerli, a un cinema che gli ha dato la fama ma che forse non li merita (e che è diventato “piccolo”, come diceva Norma Desmond/Gloria Swanson in Viale del tramonto). Il cuore del film, altrimenti fin troppo lineare nella sua prevedibile parabola, è quindi il rapporto tra i due attori e la loro parabola artistica, le loro differenze caratteriali smussate da un affetto pudico e mai dichiarato, la loro capacità di essere, sempre e comunque, al centro di un palcoscenico, come mostra la scena migliore del film in cui i due litigano durante un party in loro onore, popolato di una nobiltà vetusta e distante che inizia a fissarli, e finiscono per attirare magneticamente, come sulle assi di un teatro, l’attenzione di un qualsiasi pubblico.