Burn After Reading di Joel e Ethan Coen

focus top image

Questa sera, su 20 Mediaset (canale 520 HD), alle 22:55 andrà in onda Burn After Reading. Commedia del 2008 diretta dai fratelli Coen. Primo lavoro senza la collaborazione storica con il direttore della fotografia Roger Deakins (recente Oscar con Blade Runner 2049), ma prima collaborazione con l'altrettanto premiato Emmanuel Lubezki. Non è il film più noto e apprezzato dei Coen, ma in realtà cela molte cose interessanti. Proprio per questo abbiamo recuperato un lungo estratto della recensione che Pier Maria Bocchi e Luca Malavasi scrissero a quattro mani sullo speciale che Cineforum 478 dedicò al film, subito dopo la presentazione alla Mostra di Venezia (il pdf è disponibile qui).


Lode – per modo di dire – al pragmatismo americano. Diceva Emerson: «Nessuna legge può essere sacra per me se non quella della mia natura». Linda Litzke, impiegata in una palestra, sembra essere cresciuta col quel motto scolpito nella testa, e adesso, superati i quaranta, vuole ritoccare un po’ qua e un po’ là, alzare gonfiare smagrire, senza faticare troppo tra tapis roulant, macchine e pesi (che pure ha di fronte, dall’altra parte del vetro del suo ufficio); insegue l’istinto e la sua voglia di cambiare e essere ciò che vuole come vuole. E da buona emersoniana, non accetta che le leggi della burocrazia, i diktat del fitness e la matematica monetaria le impediscano di ottenere ciò che desidera nel modo in cui lo desidera.

Perfetta erede del “liberismo” del padre della self-reliance americana, Linda aggiunge al modello un pizzico di quella sanissima disattenzione per la sorte altrui su cui si fondano l’individualismo trionfante e altre “monadi” ideologiche made in Usa, prima tra tutte il mito della realizzazione personale. E col suo senso della giustizia un po’ autogestito (e alimentato, viziosamente, proprio dall’intensità del desiderio: ciò che voglio è buono e giusto perché è ciò che voglio), Linda, senza saperlo, sgomita e distrugge, senza volerlo uccide, senza vederlo manda a gambe all’aria vite e carriere. Ma va avanti, pura e innocente, tutta presa dal suo obiettivo e scaldata dal suo desiderio: sono americana e voglio le tette nuove.

Un po’ come accade nell’ultimo Woody Allen (e senza prendere le tangenti allegoriche di un Dante o del Burton di Mars Attacks!), i Coen – che infatti, per il precedente, hanno scelto McCarthy e i suoi contrasti netti e la sua lingua dura, erede di Hemingway e parente di Gifford – sublimano il sublimabile, prosciugano filosofia morale idee e riducono il cinema a una geometria euclidea di cose, fatti, corpi, azioni. Perfino il meccanismo della suspence, che in Non è un paese per vecchi, nella scena dell’albergo, anche se rivissuto come artificio specificamente cinematografico, dava ancora luogo a un bellissimo momento di dilatazione del tempo e di sospensione dell’azione, in Burn After Reading finisce travolto da questa semplificazione. Quando il colpo parte (dalla pistola mai usata del bamboccio Harry Pfarrer/George Clooney verso il volto ginnico dell’idiota Chad Feldheimer/Brad Pitt, elaborazione a distanza del personaggio di Johnny Suede), parte e basta, improvvisamente: né suspence né, in fondo, vera e propria sorpresa. Il volto ebete di Chad e il sorrisetto incredulo dello spettatore parlano di un’irruzione imprevista e non proprio a tono, di un fatto alieno sopraggiunto all’im provviso, un momento splatter saltato dalla trama con la stessa distrazione con cui parte il colpo dalla pistola.

Il bello di questi Coen – mica tanto diversi da quelli del precedente, genere a parte – è che non hanno più dèi, piccoli o grandi, da omaggiare; non hanno più precedenti con cui dialogare o estetiche da aggiornare, e anche la citazione è ormai orfana di antecedenti e referenti. In Burn After Reading si presentano in versione tritarifiuti, semplici, sfacciati e superficiali, determinati e deterministi come il bellissimo personaggio di Linda, Frances McDormand, con una visione del mondo e della vita priva di curve e profondità. E il Linda-pensiero finisce per contagiare il film anche dal punto di vista stilistico: lo spettacolo della superficie regna sovrano, e la profondità è proprio quella – e soltanto quella – della superficie, come usano dire i francesi (profondeur de la surface): ossia, una rete di eventi apparentemente sciolta da un piano di senso ulteriore, come neppure nel minimalismo evocativo di tanto cinema indipendente e in certa letteratura americana contemporanea. Qui volti, parole e azioni restano ancorati a un piano pesantemente letterale, non rimandano, non suggeriscono, non richiamano; sono così e basta. È uno spettacolo duro e puro, quello di Burn After Reading, senza neppure il minimo sindacale del travestimento grottesco o della caricatura: anche l’accento o la punteggiatura di troppo spingono, al contrario, l’immagine a terra, più vera del vero. L’effetto finale, un po’ paradossalmente, è quello di un cartoon documentaristico: come se i topi e i gatti gommosi di Hanna & Barbera fossero una realtà “vera” ripresa da vicino e in modo neutro. La macchina da presa dei Coen, non a caso, non è mai stata così ferma, impassibile, frontale come in questo film.