Confessioni di una mente pericolosa di George Clooney

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Questa sera su Paramount Channel alle 23:00, verrà trasmesso Confessioni di una mente pericolosa, film del 2002 che segnò il debutto alla regia di George Clooney. Scritto da Charlie Kaufman e basato sull'autobiografia omonima di Chuck Barris. Nel numero 425 di Cineforum (acquistabile qui), Matteo Bittanti ne scrisse una recensione, eccone alcuni estratti.


«Mancano alcuni pezzi del puzzle», afferma Dick Clark nel prologo. […] «Mancano alcuni pezzi del puzzle». Confessioni di una mente pericolosa è il gemello diverso de Il ladro di orchidee - Adaptation. I due film si aprono in modo speculare, con dei monologhi che suonano come degli epitaffi. Barris/Rockwell in Confessioni di una mente pericolosa: «Ho sprecato la mia vita». Kaufman/Cage in Il ladro di orchidee - Adaptation: «Ho sprecato la mia vita». Personaggi poliedrici, in bilico tra goffaggine e genialità, Barris e Kaufman si sdoppiano per non implodere. Ma le similitudini finiscono qui: laddove Il ladro di orchidee - Adaptation travolge, Confessioni di una mente pericolosa annoia. Il motivo? Clooney. 

[…] Satira nichilista mascherata da spy story – o forse è il contrario –, Confessioni di una mente pericolosa è un’allegoria che rifiuta una lettura allegorica. Kaufman non concede nulla, anzi chiede allo spettatore di cominciare a ridere e di raccontarsi la barzelletta da solo. Il criptico sceneggiatore gode di fronte alla frustrazione ermeneutica del pubblico. Tira la corda fino a spezzarla: sta a noi scegliere se impiccarci in preda alla disperazione oppure tentare di riannodare i fili di un discorso deliberatamente dispersivo. 

[…] l’unica nota di calore arriva da Sam Rockwell, stella minore che da sempre alterna piccoli grandi film (due su tutti: Box of Mooonlight di DiCillo e Lawn Dogs di John Duigan) a commedie senza né capo né coda. In un certo senso, Clooney lo “sdogana” (vedi anche: Adam Sandler in Ubriaco d’amore). Qui Rockwell riassume in modo sincretico i tratti, i vizi e i vezzi di : a) Edward Norton (Fight Club), b) Jim Carrey (Man on the Moon); c) Dustin Hoffman (Lenny), d) Mike Myers (Studio 54). Che si tratti di un’opera di Kaufman lo si intuisce dalla prima scena, quando un Sam Rockwell completamente nudo osserva quasi ipnotizzato lo schermo televisivo nella sua stanza dell’hotel Phoenix (lett., Fenice), mentre la donna delle pulizie riassetta la stanza. È il classico “momento Kaufman”: Chuck Barris è l’ennesima declinazione della personalità kafkiana e rizomatica dello sceneggiatore. Che si tratti di un film del Dr. K. lo si capisce anche dalla struttura narrativa, rigorosamente ricorsiva, intricata, lastricata di digressioni, ripetizioni e flashback. Schizofrenica quanto basta. 

Ricapitoliamo: i personaggi di K. sono paranoici e solipsistici, depressi e misogini. Marcati dalla più profonda insicurezza, si mettono continuamente in discussione. Spendono più tempo nei cessi che sul set. Per compensare un’esistenza mediocre finiscono per produrre una sorta di alter ego, un alias, un clone che diventa la loro raison d’être. La mente pericolosa di Barris, producer televisivo frustrato, secerne un agente segreto. Un figura mediatica, beninteso, costruita per mezzo di stereotipi, cliché e convenzioni. Anche i personaggi del film sono proiezioni mentali del protagonista, come attesta il fatto che il medesimo attore, Robert John Burke, interpreti il ruolo del censore della Fcc e dell’istruttore della Cia, Jenks. Infine, come in tutti i film di Kaufman, anche qui i personaggi femminili sono raggruppati in due rigide categorie: le sante (Penny- Barrymore, l’hippie dal cuore d’oro) e le puttane (la dark lady Patricia-Roberts, clone di Marlene Dietrich che cita Nietzsche e avvelena le sue vittime). 

Che la regia di Clooney non sia all’altezza della situazione è chiaro sin dalle prime battute. Dopo l’ottimo prologo, il film s’ingolfa, procede infatti a scatti, per inerzia. Clooney si rifà ora al Redford di Quiz Show, ora all’Anderson di Boogie Nights, al Forman di Man on the Moon, all’Howard di A Beautiful Mind. Così facendo, tuttavia, Confessioni di una mente pericolosa non acquisisce mai un’identità propria. Un grosso limite per una pellicola che tematizza ancora una volta il rapporto persona vs. personaggio, “essere” vs. “voler essere”. Clooney cambia registro di continuo, concedendosi il lusso della citazione colta e coinvolgendo tutto il suo entourage (Confessioni di una mente pericolosa è la sagra del cameo). Eppure, non basta. Perché, nonostante tutto, «mancano alcuni pezzi del puzzle».