Frantic di Roman Polanski

focus top image

Questa sera, su Rete 4, alle 21:15 andrà in onda Frantic. Thriller del 1988 diretto da Roman Polanski con Harrison Ford e Emmanuelle Seigner. Nella recensione pubblicata su Cineforum 279 (acquistabile qui), Alberto Crespi parla di Polanski, di Hitchcock e della sottile relazione tra i due che emerge in questo film. Ne proponiamo alcuni estratti.


L'uomo che sapeva troppo poco 

L'incrociarsi dei percorsi, il puzzle delle situazioni. Che cos'è Frantic? Apparentemente un thrilling fra i più classici, per il quale potrebbe partire il gioco (gratificante, ma spesso inutile) dei rimandi. Un film «alla» Hitchcock? Sicuramente si. Ma ci sono molti modi di fare un film alla Hitchcock e si tratta di capire quali di questi modi Polanski sperimenti. Lo hanno scritto in molti. Frantic è come L'uomo che sapeva troppo. «Americano all'estero si trova coinvolto in complotto, che comporta un pericolo per un suo familiare». In questa frase virgolettata, effettivamente, è racchiuso tutto il film, nonché il paradosso su cui il film si regge. […] Il paradosso in una semplice constatazione: il dottor Walker interpretato da Harrison Ford non è un uomo che sa troppo. In realtà non sa nulla. E, a guardar bene, non scopre realmente nulla nel corso del film. Il suo guaio è esattamente opposto a quello di James Stewart nel vecchio film di Hitchcock. Semmai, Walker-Ford è “l'uomo che sapeva troppo poco” […]

Mac Guffin bifronte 

[…] Il rendiconto finale, pur se la regia di Polanski assicura stile e suspense, è poco credibile. E allora? E allora, tutto ciò è davvero molto hitchcockiano. Tutte le cose che abbiamo appena elencato sono dei “Mac Guffin”. Ovvero, delle scuse - che non necessitano di spiegazioni in sé - per portare avanti ciò che davvero ci interessa nella storia. Visto che siamo in un film di Polanski, verrebbe da dire che Hitchcock stesso è un Mac Guffin. Ed è proprio cosi. Almeno al 50 per cento. Vediamo di spiegarci. 

Come dicevamo prima, ciò che conta in Frantic è quale Hitchcock si voglia ricreare. A nostro parere, Polanski coglie perfettamente la doppia anima dei film di Hitchcock e si serve di un 50 per cento di quest'anima per mettere in scena una grande mimesi dell'altro 50 per cento. Il versante thrilling di Hitchcock è, appunto, il Mac Guffin per ricreare il versante ironico del maestro. E Polanski, alla fine, sembra volercelo dire. Quando, a sparatoria terminata, il vero Mac Guffin interno al film - la statuetta - è nelle mani di Walker. “Volevate questo?”, mormora il dottore. E butta la statuetta nella Senna. Come a dire, era tutta una scusa. Ci siamo divertiti. Ora che l'intrigo si è sciolto, aiutandoci a sviluppare altre cose, possiamo buttarlo a fiume. 

Il problema critico, a questo punto, è battezzare queste “altre cose”. Potremmo sbagliarci, ma siamo convinti che esse siano tutte nascoste, come abbiamo sopra accennato, nel lato “Comico" del film. Una comicità, si badi, che non è in contraddizione con l'orrore e con l'angoscia, ma anzi si sposa - nei momenti migliori - con essi. Non è una novità, per Polanski. Pirati, ad esempio, era un film comico. […] Era comico soprattutto per come ironizzava sui momenti più crudi e più forti del dramma. […] Cosi, in Frantic, è in qualche misura “comico”(nel senso più alto del termine) il comportamento di Walker lungo tutto il film. E’ comico il suo impaccio nel parlare francese. E’ comico il suo spiazzamento nelle situazioni, ad esempio nel bar pieno di spacciatori. È comico il suo progressivo (e volontario, e quindi goffo) trasformarsi in un eroe. […]

La gratuità delle motivazioni e l'ironia in cui è immerso il dramma dell'eroe avvicinano dunque il film non tanto all'Uomo che sapeva troppo, quanto a uno dei capolavori di Hitchcock, Intrigo internazionale. C'è una sottile parentela tra Walker e Thornhill, il personaggio interpretato da Cary Grant in quel film. C'è il medesimo smarrimento di fronte alla violenza, lo stesso sforzo di rimanere se stessi all'interno di una situazione che sembra imporre una trasformazione della propria personalità. E’ quello, I'Hitchcock che Polanski si diverte a “mimare”: I'Hitchcock ironico, beffardo, sofisticato. La Parigi di Frantic, in certi momenti, ha la stessa funzione di controcanto ironico rispetto all'azione che ha il monte Rushmore nel finale di Intrigo internazionale. E, del resto, pensateci un secondo: quest'ultimo titolo non sarebbe ironicamente perfetto per il film di Polanski?... […]

Nell'uno per cento

Frantic è sicuramente un film-scommessa. Chiunque tenti in qualche modo di “riprodurre” Hitchcock, accetta una scommessa in cui la sconfitta è certa al 99 per cento. Polanski riesce quasi per miracolo a mantenersi all'interno del rimanente 1 per cento, perché sfida Hitchcock a livello dell'humour e si limita a un diligente lavoro di copiatura sul piano della suspense (che infatti è scarsamente presente nel film, a parte lo splendido inizio, con quella valigia ripetutamente inquadrata da mille angolazioni, secondo l'aurea regola hitchcockiana per creare tensione partendo dagli oggetti più umili). La vera differenza fra i due, è che se il britannico Hitchcock poteva anche sorridere con una semplice alzata di sopracciglio, il polacco Polanski vuole sempre arrivare allo sberleffo, alla risata rumorosa. E nel finale non ha il coraggio di farlo. Mentre Hitchcock, di fronte al trepido quadretto dei coniugi Walker teneramente ritrovatisi, avrebbe certo trovato la forza per un ultimo, dovuto sorriso.