Green Zone di Paul Greengrass

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Questa sera alle ore 23:40 su Rete 4 andrà in onda Green Zone di Paul Greengrass. Film del 2010 sceneggiato da Brian Helgeland e interpretato da Matt Damon. Simone Emiliani scrisse una recensione su Cinefourm 494 (acquistabile qui), ne riportiamo alcuni estratti qui sotto.


Parte subito a velocità impazzita Green Zone. Senza prologhi, senza didascalie. Solo indicazioni temporali, il 2003, quando gli americani, occupato l’Iraq, si insediano con gli alleati nella cosiddetta “Green Zone”, area di circa dieci chilometri quadrati intorno a Bagdad. L’inizio è fulmineo: una riunione di iracheni e il bombardamento, con la città di notte sullo sfondo di esplosioni. Greengrass gira un thriller nascosto da film bellico come se fosse un reportage; non a caso il respiro del film-inchiesta può sicuramente derivare dal fatto che è tratto dal libro «Imperial Life in the Emerald City: Inside Iraq’s Green Zone» di Rajiv Chandrasekaran. 

[…] Greengrass non ha la pretesa di costruire un’opera che indaga sulla realtà politica, e il suo intento può essere stato quello di realizzare un film ambientato in Iraq e non sulla guerra in Iraq. Eppure ciò che emerge, proprio da un punto di vista politico, è potentissimo. Viene fuori per esempio che la fonte chiamata“Magellano” aveva già incontrato i funzionari statunitensi prima della guerra. Inoltre, nel grandioso finale, c’è il rapporto dell’ufficiale Miller in cui si sostiene la tesi delle informazioni fabbricate dall’Intelligence a tavolino per far scoppiare la guerra. […] dietro l’apparente “falso documentarismo”, entra in gioco una costruzione narrativa che, grazie all’abile sceneggiatura di Helgeland, si percepisce appena ma è in realtà molto presente. 

La trama è fitta e intricata quasi come L.A. Confidential e richiama le forme di un film di spionaggio. Vista la collaborazione tra Matt Damon e Paul Greengrass con i due ottimi The Bourne Supremacy e The Bourne Ultimatum, si potrebbe cadere nella trappola di considerare Green Zone come una specie di episodio in cui Jason Bourne va in Iraq. Quei due film però avevano una dispersione spaziale che questo non ha. L’area intorno a Bagdad è piuttosto un set concentrico e impermeabile, una sorta di frontiera western invalicabile. […] Questo rapporto quasi fisico tra lo spazio e il corpo contribuisce ad accrescere una tensione che diventa contagiosa. 

Green Zone, rispetto alle precedenti pellicole dirette dal cineasta, rappresenta un segno ulteriore di maturazione. Greengrass utilizza le forme del genere, crea ipotetiche commistioni tra forme diverse e poi le ribalta. La cosa ancora più interessante è che, anche se mostra una tesi già nota, non la dà mai per scontata. Cerca di mostrare ciò che succede, così come l’inviata del «Wall Street Journal» cerca di raccontare i fatti sugli elementi che ha a disposizione. Una delle cose interessanti è che il regista, nella sua ricerca accumulativa dei fatti, dà l’impressione di girare il film proprio nel periodo in cui è ambientato, il 2003, e non sette anni dopo […] quello di Greengrass è uno sguardo vergine, che si trova lì come se si trattasse della prima volta, ed è per questo che il film ha la stessa magica incoscienza e la coraggiosa determinazione del personaggio di Miller attraverso il quale Matt Damon, come in The Bourne Supremacy, rappresenta una figura che si materializza in una “doppia visione”. Miller non è l’alter-ego del regista, né qui né nell’altro film: la guerra in Iraq viene vista solo attraverso il personaggio. Piuttosto, c’è un parallelismo tra macchina da presa e figura principale che sembrano muoversi insieme e allargare, di conseguenza, il raggio d’azione della vista per cercare di ridurre lo scarto con il fuoricampo. 

L’occhio e la scrittura quindi. La grandezza di Green Zone non sta solo nell’avere un ritmo incessante e nessuna pausa. Gli eventi che si susseguono – benché già delineati precedentemente in fase di scrittura – sono come rintracciati, catturati all’istante. Basta vedere uno dei momenti migliori del film, quello in cui gli uomini di Miller fermano il locale Freddy che gli vuole dare un’informazione (la casa dove si sono radunati gli uomini di Saddam, tra cui Al Rawi). Ci può essere il dubbio che questa informazione possa essere vera o falsa. In questo momento, la pellicola sembra andare avanti istintivamente (per necessità, ma anche perché è proprio nella sua natura), come Miller che deve agire rapidamente e non ha tempo per pensare se quell’uomo gli sta dicendo la verità oppure no. Fidarsi diventa l’unica strada percorribile. E, come si vedrà, questa soffiata si rivelerà esatta: nell’incursione all’appartamento, con i presenti in fuga, il film arriva alla scarnificazione, alla purezza primitiva di un cinema d’azione esemplare. Che in Green Zone non si confonde mai con le forme del blockbuster, perché questo film è prima di tutto profondamente umanista. Sono i personaggi, gli uomini con le loro storie che determinano gli eventi. […]