Il capitale umano di Paolo Virzì

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Questa sera su Rai Movie alle 21.10 uno dei migliori film italiani degli ultimi anni: Il capitale umano di Paolo Virzì. Ecco la recensione che pubblicammo al momento dell'uscita del film; per l'occasione realizzammo anche un'intervista in esclusiva con Paolo Virzì. che puoi leggere cliccando qui.


Il degrado culturale e civile di un Paese è un fenomeno che si può decifrare nella corporalità degli individui e in tutta la materia (oggetti, ambienti, rituali etc.) che costituisce il loro mondo.

L'interesse de Il capitale umano di gran lunga il film migliore di Paolo Virzì– ci sembra consistere anche nel suo tentativo di raccontare il clima malato della penisola passando attraverso la fisicità di individui dalle diverse origini sociali, calati in una trama che fonde felicemente il noir alla commedia all'italiana e deriva dal romanzo omonimo del 2004 di Stephen Amidon, ambientato nel Connecticut.

Virzì e i suoi sceneggiatori, Francesco Bruni e Francesco Piccolo, hanno scoperto che la storia si adattava come un guanto all'Italia berlusconiana (e non solo) dei vitelli d'oro e della frode legalizzata. L'hanno ambientata in un immaginario paese dell'Italia settentrionale, Ormate Brianza, che - contrariamente alla stupida polemica improvvisata da uno dei più beceri fogliacci della “macchina del fango” - costituisce soprattutto un quadro esemplare dell'Italia di oggi.

La storia ruota intorno alla morte accidentale di un uomo (un povero cameriere, “capitale umano”, quindi, equivalente ad un valore economico modesto), investito da un'automobile mentre ritornava a casa in una notte d'inverno. Il delitto colposo coinvolge due famiglie di diversa estrazione – i ricchissimi Bernaschi e i piccolo-borghesi Ossola – di cui vengono narrati gli eventi che precedono e seguono il fattaccio dai punti di vista di tre personaggi: l'agente immobiliare Dino Ossola, sua figlia Serena, studentessa di liceo, e la signora Carla Bernaschi, consorte del fortunato broker Giovanni.

La maschera di Ossola (uno stupefacente, bravissimo Fabrizio Bentivoglio) è un ghigno untuoso e opportunista, perennemente incrostato ai lineamenti di un individuo che si affretta a sfruttare la relazione sentimentale della figlia Serena con il rampollo dei Bernaschi per entrare a far parte del loro fondo fiduciario, nonostante non ne abbia le possibilità finanziarie (e non si fermerà qui). Di fronte a lui, un'altra maschera, quella cinica e proterva di Bernaschi (l'ottimo Fabrizio Gifuni) che, succhiando il midollo al Paese, ha guadagnato enormi ricchezze con le speculazioni e incarna la crassa e feroce ignoranza di quella borghesia italiota che fa scempio dei boschi secolari per costruirci ville dal lusso pacchiano e che trasforma i teatri storici in appartamenti. Terzo e più marginale emblema del parassitismo è il laido zio di Luca, sfortunato diciottenne di talento, di cui si innamora Serena (Matilde Gioli, una rivelazione), l'altro personaggio di adolescente già adulta su cui Virzì ripone le speranze di un'Italia migliore.

Anche la classe intellettuale non è risparmiata dal regista, che ironizza con intelligenza sul nichilismo apocalittico e arido di una giornalista, critico di teatro, e sulla meschinità di un professore che dopo avere intessuto velleità di scrittore intorno all'amore adulterino con la moglie di Bernaschi (Valeria Bruni-Tedeschi, che aggiunge nuove sfumature all'abituale ruolo di nevrotica), non esita a insultarla quando lei lo lascia.

La signora Carla, infine, con la sua fragilità e inadeguatezza di nullafacente viziata e madame Bovary dei poveri, un po' troppo oscillante fra sprovvedutezza e consapevolezza, è il contraltare della moglie di Ossola, la psicologa Roberta (un'efficace Valeria Golino) che si prodiga ogni giorno per capire i problemi degli altri ma non riesce a riconoscere la miseria morale del marito.

Rispetto al romanzo di Amidon, il regista ha reso più implicito il rapporto conflittuale fra la figlia di Ossola e suo padre, e ha preferito un finale ottimista, cui arriva con qualche inverosimiglianza stridente (il pc di Serena lasciato acceso con la mail scottante in bella vista). Ma anche grazie alla fotografia spesso notturna di Jérome Alméras, sa rendere evocativi gli interni come gli esterni di un clima sfuggente e avvelenato e la dimensione del "giallo" è abilmente fusa nell'intreccio delle tre verità in una sola.