L'esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam

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Questa sera, su Italia 2, alle 23:30 andrà in onda L'esercito delle 12 scimmie. Film del 1995 diretto da Terry Gilliam, liberamente ispirato da La jetée di Chris Marker. Ecco cosa ne scriveva Federico Chiacchiari su Cineforum 354 (acquistabile qui)


Twelve Monkeys è soprattutto un saggio straordinario sul concetto di realtà. Cole viaggia indietro nel tempo, scaraventato dagli scienziati prima alla fine degli anni Ottanta, poi nel '96, quindi nella prima guerra mondiale: Cole «invece di andare avanti, avanza all'indietro» (F. Strauss, «Cahiers du Cinéma»), Qual è il futuro? Il '96? Il 2035? Ma Gilliam spinge oltre ancora le domande e ci sbatte tutti quanti in un mondo ormai incomprensibile, con un protagonista che man mano che va avanti nella sua ricerca capisce sempre meno di sé. «Nulla è sicuro – dice il regista – nulla è ciò che dovrebbe essere». E Cole vede continuamente messo in discussione il suo "assurdo" punto di vista di "uomo del futuro". E per la psicologa che lo accompagna nel suo strano viaggio egli è necessariamente un "deviato" (cioè, per la società attuale, pazzo). Un uomo arriva dal futuro ad annunciarci che fra pochi anni saremo tutti morti a causa di un terribile virus messo in giro proprio in questi nostri giorni. È ovvio che è un pazzo. E le avventure di Cole nel nostro presente, che per lui è anche un viaggio a ritroso attraverso la sua infanzia (e ricorda perfettamente la storia del bambino nel pozzo come una storia di quando era ragazzo...), più che ad aiutare l'uomo del futuro serviranno a destabilizzare la sua personalità.

Il senso di realtà di Cole man mano che la storia prosegue si va sempre più smarrendo, al punto che ad un certo punto egli pensa che forse è davvero pazzo. Ma non appena la sua cognizione di realtà sembra vacillare, ecco che un indizio arriva puntualmente a "risvegliarlo". Le dodici scimmie, che poi si riveleranno una pista del tutto sbagliata, non sono altro che un espediente narrativo, una strada da percorrere per andare dappertutto senza andare in realtà da nessuna parte. Tutto dipende solo dal punto di vista che si sceglie, e la bravura di Gilliam (e dei Peploes, ottimi sceneggiatori) sta proprio nel mostrarceli, questi diversi punti di vista. Quello di Cole, sbattuto tra presente, passato e futuro; quello della dottoressa Kathryn, prima incredula, analitica e razionale, poi acquisendo informazioni, fatti ecc…, sempre più realmente preoccupata per la sorte dell'umanità (è davvero l'unico personaggio che si pone il problema di "cambiare la storia"); cosi come diversi sono i punti di vista di Jeffrey e del folle impiegato del laboratorio del padre che provocherà il caos diffondendo il virus per il mondo.

Ma Twelve Monkeys è un film decisamente complesso. Richiama volutamente Blade RunnerBrazilTerminatorma solo per la volontà di Gilliam di mescolare le carte. Così come il futuro, il 2035 che ci rappresenta Gilliam, è fatto di una miscellanea, di riciclaggio di oggetti di diverse epoche del nostro secolo, così il suo film lavora necessariamente sulla contaminazione con l'immaginario filmico collettivo. Ma, eliminati ormai quasi del tutto quegli "orpelli visivi", quei ''barocchismi" che raffreddavano troppo i suoi pur bellissimi film precedenti, realizza qui il film più incredibile sulla "decadenza e sulla nostalgia", su quello che si perde, che si è perduto per sempre.

L'apocalisse è ora, sembra dirci il film di Gilliam, non dobbiamo correre nel futuro per vedere i nostri peggiori incubi realizzarsi. E allora questo 2035 tutto chiuso, in cui l'isolamento diviene modo di vivere, in cui la prevenzione portata alle estreme conseguenze porta ciò che resta dell'umanità a rifugiarsi sottoterra e a nascondersdentrdegli enormi profilattici a dimensione umana (cos'altro è altrimenti la tuta con cui Cole sale su in superficie?), altro non è che la metafora dei rapporti di oggi, dove dopo due decenni (Sessanta e Settanta) in cui la libertà decostumi e delle idee era parte della cultura alternativa, oggi dalla diffusione dell'aids gli esseri umani sono diventati tutti più isolati (e le autostrade di Internet aiutano ancor di più a comunicare senza toccarsi, anzi addirittura senza vedersi), e le gabbiin cui uomini e animali sono rinchiusi per tutto il film, altro non sono che quelle che giornalmente·ci costruiamo e dentro le quali, spesso troppo tranquillamente, viviamo. Questo isolamento come prevenzione (dai virus, dal dolore, dalle possibilità, dai rischi, ecc...) è quello dal quale Cole tenta di uscire, forse inutilmente.