Le confessioni di Robert Andò

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Il film Le confessioni di Roberto Andò (Italia 2016) verrà proiettato questa sera, giovedì 9 giugno, su Raitre alle ore 21.20. Per l'occasione, presentiamo un estratto della recensione che Alessandro Lanfranchi scrisse per il n.. 555 della rivista Cineforum.


Le confessioni è un film disturbante. Sebbene non sia un thriller (né tantomeno un horror) l’ultimo lavoro di Roberto Andò confonde, sorprende e, in maniera del tutto inaspettata, destabilizza. 

Recuperando la dimensione economico-politica di Viva la libertà, pellicola pluripremiata ai David di Donatello 2013, il regista palermitano torna a inquietare l’universo dei potenti attraverso un racconto limpido, cristallino, dai toni grotteschi e surreali che non rinuncia, tuttavia, a inaspettati squarci metafisici.

Ambientato nel Grand Hotel Heilingendamm in Germania, va in scena, echeggiando l’autentico G8 avvenuto proprio in quei luoghi nel 2007, un rinnovato Gruppo degli Otto capeggiato dal Direttore del Fondo Monetario Internazionale Daniel Roché (interpretato da un convincente Daniel Auteuil). In questo lussuoso paradiso, i politici più influenti della Terra devono discutere l’approvazione di un trattato economico segreto destinato a impoverire i Paesi più in difficoltà e, viceversa, ad avvantaggiare quelli più ricchi. Rispondendo alla stampa che li ritiene incuranti dell’opinione pubblica, in via eccezionale e a mo’ di palliativo, gli oligarchi decidono di invitare tre ospiti estranei al mondo dell’economia: un eclettico musicista presidente di una celebre ONG, una milionaria scrittrice per bambini impegnata a contrastare la povertà nel mondo e il mite monaco certosino Roberto Salus (Toni Servillo).

D’improvviso un avvenimento sconvolge il summit: una mattina il presidente del FMI nonché ideatore del progetto luciferino, viene trovato morto soffocato da un sacchetto di plastica nella sua stanza. Non si sa se sia un omicidio oppure un suicidio, l’unica certezza è che Daniel Roché, quella stessa sera, aveva invitato il monaco nella sua stanza per confessarsi.

Si innesca così un puzzle narrativo diviso tra presente e passato da un montaggio ellittico che stordisce e disorienta tanto lo spettatore quanto i personaggi. Se da una parte i vari Ministri dell’economia vivono con estrema con- fusione il recente suicidio, allo spettatore viene chiesto non solo di comprendere le ragioni di quel tragico avvenimento ma di giudicare secondo moralità l’animo, le intenzioni e le preoccupazioni di quei politici. In questo modo il film si snoda in due direzioni: il giallo classico, che ruota attorno alla morte del banchiere, e il racconto morale, che vede come protagonista Salus, religioso integerrimo, devoto e deposita- rio di valori assolutamente antitetici rispetto a quelli ostentati dai ministri.

Se di prim’acchito il collante tra queste due vie sembra essere il ritrovamento del cadavere di Roché, in verità ciò che unisce la dimensione etica a quella investigativa è la straniante e grottesca comicità dei protagonisti.

In questo senso Le confessioni è un lavoro disturbante: sebbene racconti una vicenda drammatica che coinvolge i potenti della Terra (persone losche, meschine, prive di umanità, interessate all’accumulo di denaro) contrapposti a un monaco silenzioso e rigoroso, Andò adotta uno stile surreale, contradditorio, volto a ridicolizzare in modo caricaturale ogni personaggio. È esatta- mente la caricatura del potere, enfatizzata da battute colte, ricercate (numerosi i riferimenti a Pascal e Sant’Agostino, a partire dal titolo) e talmente forzate da strappare inevitabili sorrisi di scherno al pubblico, l’aspetto più interessante del lungometraggio. Accantonati il suicidi quale escamotage narrativo e la ricostruzione della vicenda attraverso insipidi fashback, Le confessioni rivela una forza satirica capace di scardinare e mettere in evidenza le dinamiche del potere.

A colpi di stucchevoli aforismi il monaco scoperchia il vaso di Pandora e accanto a un becero egoismo e una fama insaziabile di denaro vede uomini smarriti, in preda a deliri di onnipotenza, incuranti della povertà e completamente assorbiti da una fede cieca nell’Economia. Andò intuisce che la nuova religione non trova più al suo vertice Dio bensì l’Economia. Il cineasta palermitano, forse non in maniera del tutto consapevole, mostra come quei potenti ministri, rinchiusi in un bellissimo palazzo, siano in realtà privi di qualsiasi potere fattivo: l’economia si è incuneata a tal punto nella vita che ogni tentativo soggettivo di disciplinamento risulta essere impossibile.