Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti

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Questa sera su Rai 3 (canale HD 503) alle 21:15 Lo chiamavano Jeeg Robot, primo lungometraggio di Gabriele Mainetti e vincitore di otto David di Donatello nel 2016. Ne parlammo sul sito con la recensione di Manuela Russo e su Cineforum 553 con l'articolo di Giancarlo Mancini, di cui vi proponiamo alcuni estratti.


Supereroe per amore

[…] Che cos’è un eroe? Come può oggi il cinema scrollarsi di dosso la virtualità e l’ineffettualità cui la nostra esperienza sembra relegata e tornare a essere qualcosa di pulsante, senza ambire allo spavento primordiale dei primi spettatori di fronte al treno che avanza verso lo schermo? Queste domande [...] riescono non si sa come a rimbalzare anche da noi, provincia delle province di un impero ormai tramontato, grazie a quest’opera prima del poco più che trentenne Gabriele Mainetti, in cui si innesta uno dei personaggi più famosi dei cartoon giapponesi arrivati da noi negli anni Ottanta sulla realtà sociale della disastrata e commissariata Roma di oggi.

Siamo nel 1993, l’anno del grande crollo della Prima repubblica e dei partiti che dalla liberazione l’hanno guidata. In tv il governo Amato chiede agli italiani uno sforzo per scongiurare una bancarotta reale oltre che ideale. Un ladruncolo di orologi per scappare finisce per immergersi nel Biondo Tevere, il fiume in cui fino ancora a una quarantina di anni fa c’era chi faceva il bagno e al quale tutti i romani e non guardano oggi con sospetto, come a un signore oscuro di cui non si conoscono gli intenti. Dentro l’acqua questo balordo di mezza tacca dal nome romanissimo, Enzo Ciccotti, incontra dei bidoni che sprigionano una pece micidiale. Risalito sulla terraferma Enzo corre a casa, una squallida stamberga situata in quella che una volta era l’estrema periferia Sud Est di Roma, Tor Bella Monaca […].

Rinunciando alle convenzioni in base alle quali il supereroe si muove spesso in un mondo finto, irreale, basato su dei tipi umani riconoscibili da tutti e con cui tutti possono entrare in contatto, Mainetti opera uno scarto fondamentale. La pece con cui Ciccotti è entrato in contatto non è un semplice residuo tossico, ma una sostanza capace di farlo diventare qualcosa di diverso da un ladruncolo di periferia neanche capace di pensare in grande, come fa invece lo Zingaro, un personaggio spietato, a capo di una piccola banda che lui comanda con il terrore e anche con la follia che gli consente di spaccare il cranio a un malcapitato con un telefonino.

Ma come in ogni storia di supereroi, la strada per arrivare alla consapevolezza dei propri poteri e, ancor più difficile, della propria missione, è lunga e costellata di pericoli, tentazioni, battute d’arresto. Snodo essenziale è una figura femminile altrettanto sui generis come Alessia, una ragazza bella e attraente, figlia di una specie di socio in affari di Enzo, rimasta per così dire un po’ indietro rispetto alle facoltà intellettive. Alessia è affezionata più di ogni altra cosa al suo lettore dvd portatile sul quale guarda fino allo sfinimento la prima puntata di Jeeg Robot. È proprio Alessia, con il suo linguaggio un po’ ammiccante un po’ bambinesco a iniziare Enzo ai segreti di questa saga a fumetti tanto famosa. Inizia a parlare di strani nomi giapponesi, (Hiroshi, Shiba), di draghi e cattivi senza sfumature. [...]

Tutti e tre questi personaggi, la ninfetta, il ladro, il cattivo, sono un prolungamento di quel mondo di cartapesta nato in Italia negli Ottanta con il dilagare delle televisioni private e commerciali, quando i film venivano mandati in onda dilaniati da infinite interruzioni pubblicitarie, vero fulcro della loro missione. Al contempo però tutti e tre hanno un lato oscuro, un dark side, qualcosa che li rende più veri delle tipologie che rappresentano. [...]

Nonostante l’amarezza che traspare dietro ai nomi giapponesi, Enzo lentamente capisce e anzi viene sommerso dal suo desiderio d’amore al punto da ricevere proprio da questa richiesta di affetto e di dolcezza la spinta a mollare la propria riluttanza e a decidersi ad assumere in tutta la sua completezza il suo ruolo di supereroe. Indistruttibile, con un cuore d’acciaio nel petto e una forza senza pari. [...]

A parte il discorso della lotta tra il bene e il male e lo sviluppo del film che deve per forza di cose rientrare nelle convenzioni del manga cartoon dopo esserne uscito, quello che a noi interessa è cercare di capire cosa si crea da questo connubio alquanto inconsueto tra fantasia e realtà. È difficile dire se un film come questo possa essere ritenuto foriero di ulteriori sviluppi, se insomma possa far venir fuori quel nuovo cinema italiano che da tanto tempo aspettiamo. Certo è che offre una possibilità ulteriore di guardare alla vita nelle nostre città e nel nostro Paese mantenendo alta anche l’asticella dell’intrattenimento, requisito fondamentale per fare quello che in Italia sembra che abbiamo dimenticato da tanti anni di saper fare, ovvero un cinema sanamente popolare.

[...]

Tornando a Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, questo film ha il piccolo merito, a parte quello di pensare che ormai non è possibile uscire dai binari del già visto/sentito, dal déja vu e mostrare che forse la creatività innestata su un desiderio onesto può aprire un varco in mezzo al conformismo. In fondo, a tanti anni di distanza anche questo ci diceva Accattone di Pasolini, che molti videro come la definitiva fine del mostro sacro dell’epoca: il neorealismo cinematografico italiano. In cui tutto aveva inizio con un altro tuffo catartico nel Biondo Tevere del protagonista, Vittorio Cataldi detto Accattone.