Mediterraneo di Gabriele Salvatores

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Questa sera, prima della diretta alle 22:50 della notte degli Oscar (se vi fossero sfuggite, trovate qui le nostre previsioni e i nostri preferiti e qui i 10 motivi per seguire la cerimonia), alle 21:10 TV8 (canale HD 508) trasmetterà il film italiano che vinse l'Oscar come miglior film straniero nel 1992: Mediterraneo di Gabriele Salvatores. Abbiamo recuperato per voi il pezzo che Lorenzo Pellizzari scrisse su Cineforum 303 e vi proponiamo alcuni estratti.


Un cinema colpevole: piace a troppi

In poco più di due anni Gabriele Salvatores è riuscito a fare tris. Il regista [...]ha composto - con Marrakech Express, Turné e Mediterraneo - una trilogia, in un certo senso involontaria, che ha conquistato il pubblico, specie quello giovane, e ha costretto buona parte della critica a stare al gioco. Usiamo questa espressione perché ci pare di poter affermare che - come di fronte ai fenomeni Tornatore o Archibugi e ai pochi altri casi in cui il «furor di popolo» o un'adeguata promozione hanno imposto nuovi autori italiani in questo scorcio di anni '90 - i critici non sempre abbiano capito ma abbiano finito con l'adeguarsi. Non senza malavoglia, o l'opportunità di rifarsi alla prima occasione, di mantenere le distanze: se qualcosa ha un riscontro di massa (o almeno di maggioranza), sentono odore di bruciato; se qualcuno insiste in una direzione coronata dal successo, avvertono esibizioni di furbizia; se riso e pianto si mischiano tra loro, appaiono sconcertati e frastornati come di fronte a un attentato al pudore dei «generi».

[…] È però come dire che si dovrebbe respingere o almeno tenere a distanza ogni pellicola concepita e realizzata per smuovere o incantare lo spettatore, ogni «prodotto» che non trascuri le esigenze di quest'ultimo, ogni strizzata d'occhio (ma anche ogni sollecitazione più approfondita) a un discorso del cinema sul cinema, cioè svolto attraverso i mezzi - e anche i mezzucci - che gli sono propri. E quanto Salvatores sia consapevole di esprimersi attraverso il cinema, lo dimostra la nervosità della sua macchina da presa, che tende a scoprire e a scoprirci, a rivelarsi fonte di sorprese: assai di più di quanto lo consentano i dialoghi o le caratterizzazioni dei personaggi o la stessa struttura del racconto, che pure presenta nel suo soggetto e nella sua attuazione aspetti imprevedibilmente sintomatici o addirittura assai attuali.

Un film da punire: non piace a qualcuno

Vi sono almeno due aspetti curiosi in Mediterraneo. Il primo riguarda l'ambientazione durante la guerra nei Balcani e nell'Egeo, entrambe locations proibite per il nostro cinema. Pensiamo al vecchio soggetto L'armata s'agapò che costò addirittura il carcere militare al suo autore, Renzo Renzi, e al direttore della rivista che aveva osato pubblicarlo, Guido Aristarco, con un processo che negli anni '50 mobilitò l'opinione pubblica. [...]

L'ultimo film di Salvatores, premiato dal pubblico, è stato soltanto punito - a quanto sembra - con il rifiuto di finanziare altri progetti della stessa società che l'ha prodotto, ma ha infastidito quanto basta chi, erroneamente, l'ha letto come un invito alla diserzione o come una critica al «valore» delle nostre forze armate.

Niente di voluto, naturalmente. Ideato ben prima della «guerra del Golfo», ultimato nelle riprese solo una settimana dopo l'invasione irachena del Kuwait, è capitato sugli schermi, per una sorta di ironia del destino, quando quello scacchiere ha fatto tremare e inorridire il mondo. Certo, ha così sollevato una maggior attenzione, ma certamente non ha modificato la sua sostanziale debolezza ideologica: quello che anzi si potrebbe definire un attacco alle ideologie. In Mediterraneo quasi non si parla di fascismo, l'antifascismo è del tutto assente, non basta una battuta di Mao posta in bocca ad Abatantuono a connotarlo, il generico riferimento a un'Italia da ricostruire in modo più giusto e da cambiare in modo magari radicale resta sullo sfondo o si trasforma in un'aspettativa ben presto delusa. [...]

In effetti, ciò che Salvatores ha posto in scena è soltanto un'esperienza di gruppo, dove la realtà del set (lavorare per settimane in località lontane e sconosciute, vivere tensioni interpersonali, affrontare qualche disagio ambientale) non può che favorire, se non la «realtà», almeno una certa verosimiglianza della fiction. Il Marocco di Marrakech Express o la provincia meridionale di Turnè non giocavano da meno in questo processo di identificazione/straniamento, anche se con qualche differenza: l'aspetto on the road qui sostituito dalla circolarità del luogo chiuso o il minor numero di personaggi implicati, con la conseguenza di una maggior concentrazione sui loro rapporti/reazioni.

Identica pare invece, nei tre film, la sorte femminile. Guai alle donne, che sembrano sempre tendere a dividersi tra due o più uomini, pur se per amore, ma guai anche alle donne in assoluto: o sono mentitrici (Marrakech) o sono traditrici (Turnè) o sono sbiaditi oggetti di desiderio (Mediterraneo); talmente sbiaditi che restano la foto su una tomba (con la labile giustificazione del regista circa la difficoltà di procedere all'invecchiamento cinematografico della protagonista). In verità gli uomini stanno bene da soli, come ci ha insegnato il cinema americano della frontiera o delle downtowns, con la scusa - ovviamente cinematografica - dell'«amicizia virile».[...]

Sotto quest'ultimo aspetto - dobbiamo ammetterlo - Salvatores è un regista «ideologico», come lo è nel governare con mano quasi sempre ferma il suo gruppo (i suoi gruppi) o nel porsi di fronte ad ambienti insoliti leggendoli in modo inedito. [...]

Già, gli attori. Sono chiaramente il punto di forza del cinema di Salvatores, della sua stessa nozione di opera cinematografica. Anche se non lo confessa apertamente (a differenza di un Pupi Avati, e fra i due si potrebbe anche cogliere qualche affinità), il regista ha in mente, o in atto, una propria factory; meglio, lo si potrebbe definire una sorta di piccolo imprenditore del set, per il quale gli attori sono dei semplici lavoratori, che devono essere bravi e tanto più lo sono quanto maggiormente fanno risparmiare (ed ecco il mito del «buona la prima» o magari delle riprese che procedono in ordine di copione). [...]

Non tutto è chiaro, non tutto è limpido, in Mediterraneo e altrove. Ma di fronte al film di Salvatores viene voglia di parafrasare la citazione di Mao che nel film Abatantuono - con assoluta preveggenza - fa propria: «C'è molta confusione sotto il cielo, quindi la situazione è favorevole». Bisognerebbe spiegarne il senso anche a qualche critico.