Midnight in Paris di Woody Allen

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Midnight in Paris, uno dei migliori film realizzati da Woody Allen in Europa, sarà trasmesso questa sera, mercoledì 21 giugno, su Iris alle 21. Per l'occasione, riproponiamo il pezzo che Emanuela Martini scrisse per il n. 505 di Cineforum, dopo la presentazione del film al Festival di Cannes del 2011.

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Qual è la vostra epoca preferita? Quella nella quale avreste voluto vivere e nella quale pensate che avreste potuto certamente realizzarvi? Tutti ne abbiamo una e siamo convinti che là, forse, saremmo stati davvero al centro del mondo. Naturale che per Gil, un giovane sceneggiatore hollywoodiano che sta tentando di scrivere il suo primo romanzo e trascorre una vacanza a Parigi con la fidanzata ricca e i genitori di lei, l’epoca sognata, l’età d’oro, sia quella della Festa mobile, gli anni Venti raccontati da Hemingway, quando tutti gli scrittori americani e gli intellettuali europei parevano essersi dati appuntamento a Parigi. Zelda e Francis Scott Fitzgerald, Hemingway e Gertrude Stein, T.S. Eliot e Cocteau, e Picasso, Dalí, Buñuel, Man Ray, Djuna Barnes e Josephine Baker: di notte, passeggiano tutti ancora per le strade di Parigi, e si danno ancora alla pazza gioia nelle loro case e nei loro bistrot, accompagnati dal vivo da Cole Porter e dalle sue canzoni. Sogni a occhi aperti? Mica tanto: basta trovarsi nell’angolo giusto allo scoccare della mezzanotte e può accadere che una Bentley d’epoca si accosti e che Zelda e Scott in abito da sera vi trascini- no dentro quell’immortale “Festa”.

È quello che capita, mezzanotte dopo mezzanotte, a Gil (uno stralunato, incredulo Owen Wilson), in Midnight in Paris, il miglior Woody Allen degli ultimi anni (il film è del 2011, ndr), un film che ricorda, come impianto narrativo, La Rosa purpurea del Cairo, senza tuttavia l’incolmabile malinconia di questo. Perché, nonostante la sua apparente inadeguatezza davanti a un modello ideale, la vita va avanti e soprattutto perché si può scoprire di non essere gli unici segnati dalla frustrazione e dal rimpianto di un’epoca mai vissuta e che tutti, proprio tutti, persino, che so, Gauguin e Degas, hanno sogna- to un altrove passato e irraggiungibile.

Aperto da una successione di vedute parigine che ricordano, a colori, le immagini in bianco e nero con cui iniziava Manhattan, Midnight in Paris comincia con la classica successione di scene di coppia e coppie, di battibecchi, attrazioni, fastidi della commedia alleniana. Niente di nuovo, all’apparenza. Poi, appunto allo scoccare della mezzanotte, Parigi prende il sopravvento, l’anima della città (almeno, l’anima che piace a Gil) prende forma e il sogno si materializza. Ogni notte, la Bentley-carrozza passa a prendere lo scrittore-Cenerentola, per portarlo a nuovi incontri e a nuovi, pazzeschi, confronti letterari: Gertrude Stein legge il suo libro e gli dà consigli; Hemingway vuole fare a cazzotti con lui, Salvador Dalí vuole fargli il ritratto e Man Ray – surrealista – sostiene che l’avventura che Gil sta vivendo è assolutamente normale. Un fuoco di fila di riferimenti-battute-gag-schizzi, messi a punto in una sceneggiatura scintillante, nello stesso tempo coltissima e leggerissima, dove non esistono macchiette ma solo personaggi a tutto tondo, delineati attraverso i loro proverbiali tratti artistici (su tutti, Dalí, la Stein, Hemingway e Buñuel).

Scritto con amore e intelligenza, Midnight in Paris è il migliore dei film realizzati da Woody Allen in Europa; forse perché Parigi gli è più affine di quanto non fossero Londra e Barcellona, Allen questa volta è riuscito a liberare l’essenza della città dalla necessità della sua riproduzione, a lasciar guidare il suo occhio e la sua scrittura (esattamente come Gil lascia guidare la sua vita) dalle suggestioni sotterranee e casuali. Perché in fondo il caso e il sogno (e il cinema) si assomigliano.