Shrek di Andrew Adamson e Vicky Jenson

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Questa sera alle 21:10 su Italia 1 un film diventato ormai un classico dell'animazione: Shrek di Andrew Adamson e Vicky Jenson. Il film della Dreamworks vincitore del primo Oscar per l'animazione e inauguratore di un concetto nuovo di pensare il cinema d'animazione sia tecnicamente che culturalmente. Questo estratto della recensione di Fabrizio Liberti (l'integrale in forma cartacea o pdf è su Cineforum 406), ci spiega perché.


Shrek si potrebbe leggere come un’interessante moderna interpretazione di morfologia della fiaba, che non ha nulla da invidiare a quella pensata da Vladimir Ja. Propp nel lontano 1928. Tratto dal libro illustrato di William Steig pubblicato nel 1990, Shrek descrive l’integrazione nella società dell’orco, un personaggio delle favole da sempre visto con disprezzo e allontanato dagli uomini. Tutto l’impianto della sceneggiatura del film, sembra obbedire ad un principio d’inversione o di specularità, in cui ogni funzione viene capovolta, come ad esempio la figura dell’orco che, come i giganti o i cannibali, nelle favole popolari era legata a vicende di sangue con la funzione di sparagmos, ovvero l’atto di squarciare il corpo sacrificale descritto da vari miti, come quelli di Osiride e di Orfeo. Shrek invece si comporta come un pharmakos, ovvero come il personaggio che nella letteratura ha la funzione di capro espiatorio e viene allontanato dalla società. Il film inizia con tale processo di esclusione già in atto e, al contrario di altri celebri pharmakos della letteratura, come Volpone o Tartufo, Shrek attua un deliberato allontanamento dalla società che respinge con tutte le sue energie, diventando un pharmakos alla rovescia. Il regno di Shrek, non è un regno propriamente detto, un Eden, ma si tratta di una fetida palude in cui l’orco vive comunque una vita soddisfacente. Quando il suo regno è invaso dalla moltitudine di creture delle fiabe lì deportate dal perfido Farquaad, l’orco trasforma il suo ruolo da quello di pharmakos a quello di eiron, personaggio che disapprova se stesso ma che diventa l’agente fondamentale per il lieto fine della commedia.

Nel viaggio verso tale scioglimento la sua figura è supportata da un miles gloriosus, quel ciuchino la cui popolarità è dovuta ad una grande abilità affabulatoria. Un personaggio di parola più che d’azione, che serve a integrare le poche parole di Shrek, ovvero dell’eroe, perché tale è diventato l’orco alla fine del viaggio. E la funzione di Ciuchino è anche quella di analista, perché attraverso il suo logos, riesce a rimuovere i blocchi che allontanano l’orco dalla società, primo tra tutti l’essere giudicato solo per la sua apparenza fisica. Nelle sue battute si respira una certa familiarità con la comicità di Woody Allen, in cui i riferimenti alla psicanalisi sono continui e necessari e che, ricordiamo, fu di fatto modello ispiratore di Z la formica, il precedente film d’animazione DreamWorks.

L’ultima inversione, la più importante, è quella che riguarda lo scioglimento della vicenda, il lieto fine. Il giusto matrimonio si compie a dispetto del sortilegio, ma non è la bella a prevalere bensì la bestia, ovvero il ranocchio non diventa principe, ma è la principessa che si trasforma in orco. Una rivoluzione copernicana impensabile solo pochi anni fa e che infatti Disney non era riuscita a cogliere con La bella e la bestia nonostante che, una volta tornato umano, il principe fosse decisamente meno affascinante di quando era una bestia.

Attraverso questi personaggi, gli sceneggiatori hanno in qualche modo manipolato secoli di tradizione della commedia e su questo scheletro hanno poi montato una sorta di ricognizione nel mondo della fiaba. Il mondo magico dei fratelli Grimm si mescola con le riletture di Disney, nel regno di Farquaad e nella palude di Shrek. Cenerentola, Biancaneve e i sette nani, il pifferaio di Hammelin, i tre porcellini, Cappuccetto rosso e il lupo, Campanellino, Pan di zenzero e Pinocchio, diventano protagonisti di un métissage fiabesco che è il sogno di tutti i bambini e del bambino che c’è ancora in noi. Ma non si tratta di citazioni letterali; anche se dal punto di vista iconico non c’è frattura con la tradizione del disegno Disney, che ha reso immortali i personaggi di Cenerentola, Biancaneve e mille altri (anzi si riscontra una “sospetta” somiglianza), i loro ruoli sono completamente ribaltati.