The Imitation Game di Morten Tyldum

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Questa su Rai3, alle 21.15, The Imitation Game, biografia (molto romanzata) di Alan Turing, lo scienziato inglese che decifrò il codice Enigma dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale, che fu all'origine dell'informatica moderna e che venne arrestato per omosessualità e poi finì suicida. Sul numero 541 di Cineforum ne scrisse Rinaldo Vignati.


Non è la prima volta che gli sforzi dei crittoanalisti inglesi per decifrare Enigma, il codice usato dai tedeschi durante la Seconda guerra mondiale, viene trasposto narrativamente dal cinema (o dalla televisione). Nel 2001 Michael Apted ne aveva ricavato un thriller con elementi romantici (Enigma) incentrato su personaggi di finzione solo vagamente imparentati con i reali protagonisti della vicenda. Qualche anno prima, la BBC aveva invece realizzato un film sulla figura di Alan Turing (Breaking the Code, 1996, di Herbert Wise) ponendo grande attenzione alla fedeltà storica.

Si può dire che The Imitation Game stia a metà tra queste due opere. All’apparenza è costruito secondo i canoni della messa in scena tradizionale del cinema storico inglese (alla Richard Attenborough, per intendersi), ma nella sostanza segue in realtà una definizione dei personaggi e dei loro contrasti più simile a quella di un thriller di grana grossa che all’approfondimento psicologico e alla verosimiglianza storica del cinema inglese “di una volta”.

È vero che, come il film della BBC, indica come fonte d’ispirazione la biografia di Turing Andrew Hodges e mantiene i nomi reali dei personaggi – di quel film riprende anche l’identica struttura a tre strati (il rapporto con l’amico Cristopher durante il college; gli anni di Bletchey e gli sforzi per decrittare il codice; la scoperta dell’omosessualità e l’arresto), pur rivedendo un po’ il peso di ciascuno di essi (nel film di Wise era preponderante l’ultimo periodo, in quello di Tyldum prevalgono gli anni della guerra).

È però altrettanto vero che introduce numerosi elementi di finzione: pensando, evidentemente, che la figura di Turing non sia, di per sé, sufficiente a suscitare l’interesse del pubblico odierno, Tyldum e lo sceneggiatore Graham Moore estremizzano certe sue caratteristiche e fanno di tutto perché il suo lavoro si svolga all’interno di manichee contrapposizioni (con il collega Hugh Alexander per primeggiare nel gruppo di decrittatori, col comandante Denniston e le sue modalità d’azione burocraticamente ingessate) che danno vita a plateali duelli (Alexander arriva quasi a rompere la macchina, Denniston si presenta con una squadra di sottoposti per interromperne il funzionamento).

Il film intende giocare su una serie di parallelismi potenzialmente molto intriganti (Turing solutore dell’Enigma ma enigma egli stesso; i codici cifrati e i codici che regolano i rapporti sociali, altrettanto difficili da comprendere; le analogie tra il “gioco dell’imitazione” di cui parla il saggio più noto di Turing e il gioco che avviene tra questi e il detective per scoprire quale realmente sia l’identità del matematico inglese), ma – anziché ravvivare le buone qualità della messinscena inglese di un tempo, tirate in ballo a sproposito da alcuni recensori – quel che, a conti fatti, riesce a fare è piuttosto trasformare il protagonista in una sorta di supereroe con superproblemi (contrariamente alla sottili sfumature con cui era tratteggiato nel film BBC, qui Turing diventa una specie di genio autistico, privo della più elementare intelligenza sociale).

A ben vedere, anzi, il processo intellettuale di decrittazione del codice (e i dilemmi morali sul suo utilizzo in guerra) erano rappresentati in modo più realistico e approfondito persino nel film di Apted (in The Imitation Game il primo si riduce all’opera del genio solitario e trova soluzione grazie a casuali scoperte durante una discussione al pub, mentre i secondi si estrinsecano in uno di quegli scontri plateali che sono il segno distintivo della sceneggiatura). Anche nelle vicende del dopoguerra a prevalere sulla rappresentazione realistica del dramma vissuto da Turing sono gli elementi romanzeschi: la scoperta della sua omosessualità avviene per la solerzia di un poliziotto che crede di avere tra le mani il caso di una spia al servizio dell’Unione sovietica (e non – come si legge nella biografia di Hodges e come si vede in Breaking the Code – per un’involontaria confessione).

Malgrado l’apparenza, insomma, The Imitation Game utilizza lo spunto storico come un canovaccio per quello che, in definitiva, non è altro che un dignitoso thriller d’intrattenimento.