The Town di Ben Affleck

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Questa sera su Iris (canale 22) alle 21:00 il thriller del 2010, secondo lungometraggio di Ben Affleck, The Town. Con questo film (presentato fuori concorso al 67esimo Festival di Venezia) “Ben Affleck guarda all’essenzialità di un poliziesco d’altri tempi”, come scriveva Simone Emiliani su Cineforum 498.


Sembra un thriller/poliziesco vecchio stampo The Town, secondo film di Ben Affleck dietro la macchina da presa. Alla base c’è sempre un romanzo. Il suo primo film, Gone Baby Gone, era tratto da «La casa nera» di Dennis Lehane, questo da «Il principe dei ladri» di Chuck Hogan; ma ogni traccia letteraria si disperde in entrambi i casi. Affleck, infatti, riesce a entrare con forza negli abissi dove precipitano i protagonisti e mostra come la situazione che stanno vivendo provoca in loro dei cambiamenti irreversibili, da cui non si può più tornare indietro. In Gone Baby Gone erano protagonisti due detective che stavano indagando sulla scomparsa di una bambina di quattro anni; qui un rapinatore che s’innamora, ricambiato, della dipendente della banca che ha svaligiato. Non conta tanto la struttura narrativa, anche se è di una solidità invidiabile, quasi riciclaggio proveniente dal passato, in particolare dalle traiettorie geometriche di Richard Brooks (Il genio della rapina) o dal senso di disperazione di Robert Wise (Strategia di una rapina). Prevale però, soprattutto, la scissione del protagonista, diviso tra il suo presente e il desiderio e la possibilità di cambiare vita. Il rapinatore Doug (interpretato dallo stesso Ben Affleck) è un po’ come quei vecchi fuorilegge western che vorrebbero fare un ultimo colpo per poi ritirarsi a vita privata, pur sapendo che questo cambiamento non è possibile. In questo caso, per lui, abbandonare la criminalità significherebbe rompere anche con la propria famiglia, non tanto con il padre ma con quella del suo amico Jem, che l’ha come adottato.

The Town si riappropria dell’ambiguità del miglior cinema poliziesco degli ultimi vent’anni, passando da Kathryn Bigelow di Point Break (la rapina con le maschere), a Michael Mann di Heat. La sfida (in quest’ultimo caso nel modo in cui fa sentire la presenza della metropoli e soprattutto per lo slancio tra estasi e sconfitta con cui descrive il rapporto tra Doug e Claire, che ripercorre emotivamente quello da brividi tra il capo della gang Neil McCauley/Robert De Niro e la grafica Eady/Amy Brenneman). Questa relazione, sin dal “primo incontro” in lavanderia tra i due (fatta eccezione per la scena della rapina, in cui la ragazza non sapeva chi aveva davanti), sovrappone squarci solari e zone d’ombra che sembrano quasi distinguersi dal grigio persistente della fotografia di Robert Elswit.

Si tratta di un rapporto intensissimo proprio perché fragile, che qualunque elemento esterno può mandare all’aria da un momento all’altro; eppure, si ha un inconscio desiderio che possa durare più a lungo possibile. Sotto questo aspetto c’è un momento in cui in The Town la tensione è altissima, e non è una scena d’azione. Doug e Claire sono a un tavolino di un locale, e di colpo arriva l’amico Jem. Anche lui c’era quando hanno svaligiato la banca, quindi potrebbe far cadere il “castello di illusioni” che si è costruito il protagonista. Non è tanto nel dialogo la forza di questo momento, ma nell’incrocio di sguardi, nella sensazione che qualcosa potrebbe esplodere da un momento all’altro con un gesto o una parola. E invece alla fine resta tutto fermo.

Sorprende la maestria di Affleck, al suo secondo film, nel controllare questi momenti, facendo però sentire che dentro c’è un vortice emotivo incontrollabile. Al tempo stesso il suo film, come del resto la sua opera prima, colpiscono per il secco realismo nella rappresentazione di uno spaccato urbanistico (entrambe le pellicole sono ambientate a Boston) evidenti già nelle vedute dall’alto della città. Il quartiere di Charlestown diventa elemento condizionante e determinante sui destini dei protagonisti, al pari che nel cinema di Spike Lee o Martin Scorsese; ambiente dal quale sembra di immaginare, anche se non sono filmati, il loro passato e il percorso di iniziazione alla criminalità.

Affleck guarda all’essenzialità di un poliziesco d’altri tempi. La scena dell’inseguimento dei vicoli ha l’efficacia di Friedkin in Il braccio violento della legge e Vivere e morire a Los Angeles, o di John Frankenheimer in Ronin. E la rapina allo stadio richiama l’immediatezza di Il colpo della metropolitana di Sargent, lasciando avvertire il senso di imminente pericolo anche con la sola inquadratura sul volto di un rapinatore.

The Town conferma un sospetto già emerso dopo Gone Baby Gone: Ben Affleck è molto più interessante come regista che come attore. Forse lui stesso lo sa e paradossalmente, pur essendo protagonista, sembra farsi trasparente e lasciare spazio agli altri. Anzi, esalta le doti del resto del cast quando sono sulla scena con lui. Rebecca Hall, dopo Vicky Cristina Barcelona e The Prestige, si conferma una delle attrici maggiormente capaci di regolare improvvise vibrazioni, Jeremy Renner è un “animale da scena”, mentre Jon Hamm è un agente Fbi senza pietà. E a Chris Cooper basta solo un momento, un dialogo nel parlatorio del carcere, per lasciare un segno indelebile. Proprio come Michael Shannon in Revolutionary Road.