Thor di Kenneth Branagh

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Questa sera su Italia 1 (canale HD 506) alle 21:15 Thor di Kenneth Branagh. Un supereroe della Marvel raccontato da uno dei registi shakesperiani per eccellenza. Rinaldo Vignati scrisse la scheda, che vi proponiamo qui, per Cineforum 504.


L’annuncio che la trasposizione cinematografica di «Thor» sarebbe stata affidata a Kenneth Branagh ha suscitato qualche reazione di sorpresa: ma come, un regista conosciuto per i suoi adattamenti shakespeariani chiamato a dirigere un film tratto dal fumetto di un supereroe della Marvel? Ora che è arrivato nelle sale, i seguaci della politique des auteurs potrebbero sfoderare le loro armi dialettiche per dimostrare quanto vi sia di shakesperiano in questo film, o magari anche per rivelare quanto vi fosse di marveliano nei precedenti adattamenti di un regista che, conoscendo bene il Bardo, si è anche concesso di usarlo con una certa disinvoltura e con un occhio di riguardo per la spettacolarità, attraverso l’uso di una cinepresa sempre molto dinamica e l’abile contaminazione tra “alto” e “basso”.

Non ci addentriamo in questi giochi intellettuali, ma ci limitiamo a osservare che Branagh ha saputo realizzare uno spettacolo di buona fattura che, nel momento in cui soddisfa egregiamente chi ama il dinamismo dei film di supereroi, fornisce sufficienti appigli anche a chi potrebbe mostrarsi poco disponibile alla regressione infantile che queste storie, esplicitamente, sollecitano. Certo, i momenti da “film-giocattolo” non mancano (il combattimento con il Distruttore), così come le scene in cui la grandiosità figurativa e la pomposità dei toni sfiora (o supera) il kitsch (la prima parte ambientata ad Asgard). Ma, pur conservando un impianto dal ritmo veloce, dinamico e complessivamente scanzonato (che trova espressione figurativa nel gusto pop-fumettistico delle frequenti inquadrature oblique), Branagh tiene sotto controllo le possibili sguaiataggini (le gag del pesce fuor d’acqua – il mitico Thor alle prese con la quotidianità – sono dosate con la giusta parsimonia) e riesce a inserire tra le pieghe del racconto l’evocazione di “Grandi Temi”, fornendo così argomenti a chi voglia trovarvi marchi dell’autore shakespeariano (la lotta fratricida per il potere, l’emulazione del padre e la sfida alla sua autorità, la ricerca della propria identità e umanità, l’inganno). Il rapporto di amore e di sfida col padre si collega al rapporto tra umano e divino (reso visivamente dalle ricorrenti inquadrature in plongée) tanto che nella figura di Thor, malgrado la sua origine nella mitologia nordica, è fin troppo facile ritrovare rimandi alla vicenda di Cristo (il farsi uomo: la plongée sul protagonista incapace di estrarre il martello dalla roccia, al termine di una delle sequenze più riuscite del film, come il «Dio mio, perché mi hai abbandonato?»; il sacrificio per la salvezza dell’umanità; la morte e la resurrezione).

I richiami a questi temi arricchiscono il film quando, anziché essere estemporanee didascalie appiccicate alla storia, come accade in altre pellicole di supereroi, riescono a incarnarsi nella “ambiguità” dei personaggi. In particolare, è Loki il personaggio da questo punto di vista più stimolante: nei momenti in cui il film riesce a far emergere la sua malvagità da una battaglia, al suo interno, tra forze contrapposte (così che il male che compie appare prima di tutto come una sofferenza per se stesso, come una condanna derivante dalla sua identità combattuta fra diverse appartenenze) il film assume un carattere più “adulto”. Quando invece Loki si rivela null’altro che un cattivo tutto d’un pezzo (così che il suo comportamento appare non più come frutto di un’identità indefinita e della negazione della verità a cui era stato costretto, ma come espressione di un’abile e controllata simulazione) la storia diventa inevitabilmente più schematica e prevedibile. Si potrebbe dire che le oscillazioni del personaggio di Loki sono un po’ il termometro della qualità oscillante del film e del suo essere sospeso fra spinte diverse (libertà autoriale e vincoli posti dalle esigenze commerciali e dall’origine fumettisticoseriale dei personaggi).

Altri spunti si prestavano a sviluppi intriganti, ma non vengono sfruttati pienamente. Si pensi, per esempio, all’accostamento tra Loki e i grigi burocrati di un’organizzazione militare - poliziesca modellata sull’Fbi o sulla Cia (in particolare nella scena dell’interrogatorio), che fa apparire questi ultimi come gli emissari sulla Terra dei Giganti del ghiaccio (a cui assomigliano cromaticamente), quasi a rappresentare una analogia tra la capacità dei giganti di intrappolare in statue di ghiaccio i loro avversari e una volontà di controllo da parte della burocrazia che – weberianamente – ingabbia ed esaurisce ogni slancio vitale dell’umanità. Queste possibili allusioni vengono però lasciate cadere, sino a che, banalmente, in conclusione viene sancita una alleanza riparatrice fra Thor, Jane e i burocrati (alleanza che, nei probabili sequel, si presterà peraltro a “sorprendenti” ribaltamenti).