Timbuktu di Abderrahmane Sissako

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Questa sera su Rai Movie a mezzanotte e un quarto andrà in onda l'ultimo film del regista mauritano Abderrahmane Sissako: Timbuktu candidato all'Oscar per il Miglior Film Straniero nel 2105. Riproponiamo la recensione pubblicata sul sito di Cineforum in occasione della presentazione in Concorso al Festival di Cannes nel 2014. 

 

Dopo Bamako (2006) è un’altra città del Mali a dare il titolo all’ultimo film di Abderrahmane Sissako: Timbuctù. Città ricca di storia, appartenente all’immaginario esotico per eccellenza e patrimonio dell’Unesco, la porta dell’Africa subsahariana diventa per il regista maliano lo spunto per ragionare sulla brutalità dell’estremismo religioso di stampo islamico.

Il controllo del territorio da parte dei guerriglieri jihadisti diventa una vera e propria occupazione militare nella quale regole assurde (come l’obbligo per le donne di portare guanti e calzini) e divieti incomprensibili (il gioco del calcio, la musica), si scontrano da una parte con il bisogno e la voglia di vivere di una comunità placida e sonnacchiosa come quella di Timbuctù, dall’altro con i costumi e gli stili di vita secolari dei Tuareg, antichi fondatori della città.

Sissako sottolinea le contrapposizioni ed eleva il film a metafora di uno scontro culturale che vuole far apparire anacronistico. Attraverso le storie di abitanti qualunque, delle rinunce e delle lotte per la libertà di ognuno di loro – dalle più banali a quelle in cui la posta in gioco è la vita –, il regista entra nel merito dell’attualità politica, sociale e culturale del proprio paese (e dell’Africa intera), senza lasciarsi andare al patetismo o a derive melodrammatiche.

Punta piuttosto sull’illustrazione metaforica dello svilimento esistenziale perpetrato ai danni degli abitanti della città maliana, per mezzo della rappresentazione di una bellezza privata di ogni godimento. La bellezza di una città e di un paesaggio unici che, immortalati da immagini mozzafiato e ricche di un lirismo quasi fatale, incarnano il dolente controcanto di una cultura religiosa che, cieca o forse inconsapevole, non è in grado di vedere e di percepire tale immensa bellezza. O ancora peggio, finge che nemmeno esista.