Tootsie di Sydney Pollack

focus top image

Questa sera, su Rai Movie, alle 21:10 andrà in onda Tootsie. Film del 1982 diretto da Sydney Pollack, con Dustin Hoffman e Jessica Lange. "Il più complesso dell'intera produzione pollackiana" scriveva Franco La Polla su Cineforum 224 (acquistabile qui). Ripubblichiamo alcuni estratti dell'articolo qui sotto.


[…] Maschile/femminile

Tootsie, dietro la sua apparenza ridanciana, paradossale, accattivante, è un film non poco complesso, forse il più complesso dell'intera produzione pollackiana, poiché non si limita ad un solo livello di discorso, ma ne interseca parecchi. Intanto, la morale sociosessuale. Michael viene presentato subito come un professionista, sì, ma anche come un uomo a due dimensioni (quel paster di Beckett che occhieggia dietro di lui!). La sua realtà- lo intuiamo bene - è quella del teatro, dell'interpretazione, nella quale, come mostrano le primissime immagini, egli eccelle. Persona che professionalmente non si piega al compromesso (il rifiuto di recitare la parte del cap. Tolstoy secondo un movimento scenico che egli ritiene inverosimile), i suoi rapporti personali appaiono infinitamente inferiori: corteggia aggressivamente e dongiovannescamente le donne, non degna di uno sguardo il bambino di uno dei suoi ospiti. Gli unici rapporti umani positivi che intrattiene sono avvalorati, ravvivati da considerazioni d'ordine professionale: il sacrificio cui si sottomette per ottenere il denaro necessario a mettere in scena la commedia del coinquilino Jeff, Lave Canal (l'amore è dunque sino a quel momento creazione artistica - e quanto a questo addirittura scadente, a quel che sembra- non sentimento vissuto).

L'assunzione di una falsa identità sessuale è solo superficialmente lo stratagemma per ottenere il lavoro che non ha a causa della sua irriducibilità (e, diciamolo, del suo radicalismo professionale). Se ne deduce logicamente che a un'attrice è permesso un comportamento intollerabile in un attore. Ma ciò non può avvenire senza feedback: Michael si immedesima nella sua parte tanto quanto nella sua identità femminile (non l'aveva detto lui stesso in apertura ai suoi allievi di non recitare una parte che non era in loro?) a un punto tale da comprenderne gli statuti […] Ma, si sa, la linea di demarcazione fra realtà (per quanto falsa, come in questo caso) e interpretazione è sottilissima, e Michael diviene davvero Dorothy, rifiuta i testi, improvvisa le sue concioni facendosi vessillo del sesso opposto e cogliendo per questo le simpatie di quel pubblico. La pratica scolastica e alessandrina, così comune in America, di assumere le difese retoriche del punto di vista opposto al proprio diventa qui superamento dell'esercizio, vera identificazione. Michael, insomma, si mette davvero «nei panni» dell’altro, schizofrenizzando la sua vita a vantaggio del nostro divertimento, ma, se solo volessimo, soprattutto della nostra coscienza. […]

L'indomabilità dell’Attore

Questo, peraltro, ci porta ad un altro livello della pellicola. Tootsie, infatti, è anche uno studio sull’Attore. Il film si apre non a caso proprio sulle lezioni di recitazione impartite da Michael, nonchè sui suoi tentativi di ottenere una parte. La sequenza iniziale […] assolve a una serie di funzioni. Da un lato essa ci presenta Michael come un professionista esperto, in grado non solo di recitare ma anche di insegnare a farlo. Dall'altro essa, contrastivamente, ci mostra la difficoltà di trovare lavoro per un professionista esperto, e quindi - implicitamente -allude all’amarezza che questo comporta per il personaggio. Inoltre, essa prepara il terreno per la prima sequenza con Fields (uno straordinario Sydney Pollack), che a sua volta è l'ideale trampolino per la scelta “femminile” di Michael (un taglio di montaggio ci porta infatti, subito dopo di essa, in una strada centrale in mezzo ai cui passanti cogliamo per la prima volta Dorothy). […]

Tootsie è da questo punto di vista una vera e propria dichiarazione teorica professionale, una testimonianza dell'indomabilità dell'Attore (si confronti, in questa chiave, il personaggio di Michael con quello di Van Horn - un nome che è fra l'altro un gioco di parole allusivo alla sua lascivia- mestierante che è rimasto a lavorare nello show solo grazie alla sua anzianità: ovvero, un “cane” che lavora da vent’anni, esattamente il contrario di Michael, un bravo attore che da vent'anni non lavora). 

Naturalmente c'è attore e attore. Non solo in relazione alle singole capacità personali e alla propria denotologia, ma anche allo show che si recita. Ulteriore livello: la tv. La natura comica di Tootsie tende ad eclissare un'importante componente critica del film: quella relativa allo spettacolo televisivo. La National mette in onda regolarmente il serial “South-West Hospital”, emblema di ogni banalità narrativa che da anni passa ormai sul piccolo schermo americano. […] Pollack non perdona nulla, e a paragone col cinema la tv fa la figura di una modesta pensioncina davanti a un Grand Hotel. Non solo per il modo in cui il lavoro è organizzato, ma anche per lo spessore attribuito dal film alle star televisive. Si noti: alcuni fra i protagonisti del serial sono abbastanza amati e seguiti da essere assaliti dai cacciatori d'autografi, ma nessuno di loro è presentato con l'aura, col glamour che da sempre - anche in tempi recentissimi - caratterizzano il divo cinematografico. Julie è una ragazza di campagna, carina, certo, ma tutto sommato anonima, Van Horn un vecchio satiro incapace di memorizzare un paio di battute. Michael porta in questo ambiente sbiadito, spersonalizzato, non solo una ventata di verità (attraverso, però, e paradossalmente, la falsità), ma di professionalità, di invenzione, di fantasia. Di più: questo non proviene da un attore di cinema, ma di teatro. Pur spiantato e contestato, Michael è e rimane simbolo di un preciso ambito professionistico dello spettacolo. Il teatro, insomma, come del resto in passato ha fatto col cinema, ha molto da insegnare anche ai nuovi ambiti dello show business, per diversi che possano essere i loro linguaggi. […]