Vita di Pi di Ang Lee

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Stasera su Rai 4 in prima serata: Vita di Pi il film di Ang Lee tratto del romanzo omonino di Yann Martel e vincitore di quattro premi Oscar (fa cui "milgior regia"). Ripubblichiamo un estratto della recensione di Elisa Baldini uscita su Cineforum 521 del gennaio/febbraio 2013.


Guardando Vita di Pi, il film che Ang Lee ha accettato di dirigere dopo che ben due registi (tra cui forse quello più votato al progetto, per ragioni ovvie, M. Night Shyamalan) si sono tirati indietro, viene da chiedersi: Dio dove è? Il protagonista è interessato a tutte le religioni, e finisce per professarne tre (il cattolicesimo, l’induismo e l’islamismo). Allo scrittore che lo cerca perchè cerca una storia, dopo che il suo romanzo è morto (spunto autobiografico del reale scrittore del romanzo, Yann Martel) un vecchio indiano dice: «la storia della vita di Pi ti farà credere in Dio». Ma il riuscito romanzo popolare di formazione che Ang Lee mette in piedi non parla molto di Dio, in realtà, forse molto meno di quanto fa il libro. Anzi, sembra quasi voler supporre: Dio non esiste, o meglio, perchè crederci, se posso credere in me stesso e riuscire, comunque, a sopravvivere?

Pi passa duecentoventisette giorni naufrago nell’Oceano Pacifico, su una scialuppa minuscola insieme a una assetata e affamata tigre del Bengala. Sa benissimo che Richard Parker (questo il nome della tigre) non vede l’ora di mangiarselo, ma d’altra parte è l’unica compagna di viaggio che gli è capitata, dopo che il naufragio l’ha privato delle uniche certezze che un adolescente può avere (retaggio dell’infanzia non ancora superata): la famiglia e il paese d’origine. Vorrebbe fortemente credere nella placidità della fiera, ma ha bene in mente la scena del capretto squartato che la razionalità implacabile del padre gli ha messo davanti agli occhi qualche anno prima. Quindi l’unica cosa che può fare è aguzzare l’ingegno: lo vediamo esercitare la ragione e la fermezza in qualsiasi sua forma durante tutto il film. Scrive, pensa, conta per non impazzire, attrezza una zattera come boa di salvataggio dalla voracità di Richard Parker, trova il modo di nutrirsi e nutre anche la bestia; capisce che l’unico modo per sopravvivere a lei e con lei è addomesticarla, facendo leva sull’unica cosa che lo rende superiore: il fatto di essere anche un uomo d’ingegno e non solo una creatura d’istinto. L’approdo in un’isoletta sperduta, una specie di zattera di legno nell’immensità dell’Oceano, non fa altro che confermare la filosofia crudele sviscerata fino ad allora dalle vicende del film: la natura che appare docile è in realtà carnivora. L’arrivo in Messico dei due compagni di ventura, stremati e ridotti ai minimi termini dall’inedia, ne è il degno epilogo: la scialuppa si arresta sulla terraferma, e Pi cade senza forze sulla sabbia. Richard Parker tocca terra: è macilento, ha perso gran parte del suo splendore, ma non la sua intrinseca crudeltà. A Pi piace pensare che, con lo sguardo rivolto verso la foresta, la libertà e la sopravvivenza, Richard Parker abbia impercettibilmente mosso le orecchie per salutarlo. La dura verità è che Parker se ne è fregato di Pi, e ha tirato dritto, verso la sua Natura.

Perchè una storia di sopravvivenza, ingegno, forza e perseveranza, conquista vittoriosa di sé e della sicurezza delle proprie capacità dovrebbe parlare di Dio? Pi, adulto, ha studiato teologia e zoologia. Il film di Ang Lee, con la sua totale perfezione tecnica dovuta a uno sfruttamento a dir poco efficace della tecnologia del 3D e della computer graphic (la tigre Richard Parker, creatura totalmente virtuale, è un esempio eccelso di come l’evoluzione tecnologica possa rendere più vero del vero l’inganno), non parla molto di Dio, questo è vero. Non ne parla però solo a livello concettuale, di racconto, perchè tralascia le divagazioni religiose del protagonista, molto più facili da esprimere attraverso la parola scritta che al cinema, ovviamente.

Quello che parla di Dio nel film, è l’eccezionale rappresentazione di alcuni temi ancestrali realizzata completamente attraverso la rappresentazione immaginifica di questi. La Natura, la Solitudine, la Paura, la Morte, ma soprattutto, la spinta inarrestabile, viscerale, verso la Vita. Pi, un Robinson Crusoe-Piccolo Principe delle acque, smaliziato e in continua maturazione, si lascia sedurre dalla vita e la porta avanti con la tenacia di un Titano. Intorno a lui Ang Lee costruisce il panorama ideale di questa entusiasmante conquista: l’Oceano, i

suoi abitanti, la nebbia fitta, ilsole accecante, i fievoli barlumi della notte. Alcune scene mozzano il fiato, come quella dell’espansione a macchia della fosforescenza delle meduse, e la comparsa della balena mastodonte nella piattezza delle acque placide della notte. È questa la natura miracolosa che parla di vita e di Dio facendoli coincidere. Il fascino di questi dolly a picco sulla piccola Isola Pi, però, non sono per tutti, come non tutti sono in grado di cogliere la magia dell’affabulazione, senza smaliziarsi.