Will Hunting - Genio ribelle di Gus Van Sant

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Questa sera su Paramount Channel (canale 27) alle 23:00 Will Hunting – Genio ribelle di Gus Van Sant, vincitore, nel 1998, del premio Oscar per la migliore sceneggiatura e che vide Robin Williams aggiudicarsi quello per il miglior attore non protagonista. Su Cineforum 372 ne scrisse una lunga scheda Franco La Polla, vi proponiamo qui alcuni estratti.


La leggenda vuole che Matt Damon e Ben Affieck avessero in serbo questa sceneggiatura dai (recenti) tempi delI'università e che d'un tratto si siano trovati al centro della pellicola e come autori e come attori. Insomma, Will Hunting apparterrebbe soprattutto a loro. Ma non è così. Ancora una volta Gus Van Sant trasforma in qualcosa di personale e riconoscibile quello che chiunque potrebbe aver fatto. [...]

Dunque, non un film che si pone come "espressione dei tempi", ma al contrario come problematica senza tempo, se osservato da un'angolazione socio-psicologica. È Van Sant a farne un film riconoscibile al di là della sua atemporalità, della sua qualità mitologica. Ma attenzione: non ad aggiornarlo, bensì - se mi si passa l'espressione - ad "autorializzarlo", a farne cioè una pellicola che porta la sua inequivocabile firma. La firma di Van Sant, lo sappiamo, si identifica tematicamente nella marginalizzazione, nell'isolamento, nel movimento, nell'omosessualità, secondo un dizionario a volte intercambiabile, sempre interagente nei suoi termini. [...]

In Will Hunting la situazione è esattamente simmetrica. Anche l'eroe titolare è diverso dagli altri del suo gruppo, ma questa volta non perché falso emarginato. Al contrario, egli ha tutte le carte in regola per reclamare la sua patente di marginalizzazione, come e più dei suoi sradicati compagni. Solo, rispetto a costoro Will è stato toccato dal genio: è ingordo di letture e qualunque cosa legga la assimila e la ricorda infallibilmente; per di più ha il dono di affrontare e risolvere senza fatica i più ardui problemi matematici. Insomma egli si distacca non soltanto da quelli del suo ambiente, ma anche dagli esponenti di classi più agiate e fortunate. In una parola, fa specie a sé. [...]

Dunque, la pellicola non lancia messaggi confortanti e scontati su come chiunque possa farcela con intelligenza e volontà […] Will non deve fare alcuno sforzo perché per lui quei problemi matematici sono un giochetto da ragazzi. Will Hunting ha a cuore altri problemi. Prima di tutto, lo si indicava più sopra, quello dell'isolamento. Ma mentre nei suoi precedenti film Van Sant aveva affrontato questo tema fenomenologicamente - cioè mostrandocene, e molto bene, forme ed esiti - qui egli sceglie la via più facile (e proprio per questo più difficile): il percorso all'indietro della terapia analitica, vale a dire un vero e proprio mitologema del cinema borghese, che in quanto tale vanta un'articolata tradizione retorica, modelli iterati e addirittura obbligati di interrelazione col terapeuta, e via dicendo. [...]

Isolamento per Van Sant vuol dire anche questo: autocoscienza attraverso il recupero del rimosso. Banale? Be', sì, se ci aspettavamo che il regista rimanesse ancorato a un versante descrittivo; no, se non identifichiamo il film nella difesa della necessità della prassi terapeutica, leggendolo piuttosto come una riflessione che l'eccezionale fa su se stesso al fine di distinguersi da ciò che tende ad accomunarlo ad un altro e meno esaltante tipo di diversità. La terapia, insomma, serve narrativamente al regista per evidenziare quello che gli sta a cuore: non il passato orribile di un bambino seviziato (cioè la ragione, la causa della diversità), ma il procedimento di liberazione che chiunque ha il diritto-dovere di attuare: a maggior ragione chi, una volta liberato, ha davanti a sé strade che non è dato a tutti di poter battere.

[...] Will Hunting, d'altra parte, è il film di Van Sant nel quale la parola sembra godere del ruolo più ampio: a parte l'ovvia importanza che essa riveste in ambito psicoterapeutico, essa riempie, come si diceva, l'unica potenziale sequenza di sesso. Più ancora: per tutta la pellicola i personaggi si narrano storie l'un l'altro. […] Sembra insomma che questi personaggi nascondano tutti la propria verità dietro la cortina del racconto. O forse, al contrario, che solo attraverso di essa riescano a comunicare con gli altri. In effetti, nel momento in cui Skylar si apre totalmente e vulnerabilmente a Will ella ne viene immediatamente rifiutata. In Will Hunting non c'è posto per la diretta rivelazione di se stessi, tutto passa attraverso la mediazione di una piccola messa in scena, di una minuta costruzione narrativa, l'interrelazione si attua grazie a un espediente che permette di non mettere in gioco la diretta esplicitazione della verità. [...]

Il quadro approntato da Van Sant è come sempre desolato e frastagliato. Esso non investe soltanto il protagonista, ma l'intera compagine che figura in scena. E la dominante di fondo è una sostanza nostalgica, anche se - ed è questa una primaria costante del cinema del nostro autore - di questa nostalgia è impossibile rintracciare l'origine, la fonte. Van Sant ama seguire i suoi ombrosi eroi nelle loro piccole peregrinazioni urbane ed extraurbane. [...] Ma non è tanto il mondo underground che interessa al regista. Piuttosto - e Will Hunting lo mostra in modo chiarissimo - la presenza e la percezione di una realtà semplice che sembra esistere unicamente per essere occasionalmente registrata da quella che si intuisce essere una soggettiva del protagonista […]. È in questa realtà che vivono gli eroi di Van Sant, ed è per questo che egli ci mostra spesso i loro spostamenti con riprese aeree che li schiacciano, li cancellano indistinti in una topografia nella quale essi sembrano non avere alcuna incidenza.[...] Qualcosa incombe su di loro, niente di terribile, di tragico, di violento (anche se tragedia e violenza fanno parte della loro vita), ma piuttosto una flebile sensazione di tempo perduto (non: sciupato!), impiegato in una auto-interrogazione senza parole, come se l'anima si chiedesse in ogni momento di solitudine con se stessa qual è il suo luogo di appartenenza, immagine che è una perfetta figura di deiezione nel senso heideggeriano del termine. Chi non appartiene alla propria origine (perché non la conosce) può diventare qualunque cosa, soprattutto se dotato del genio di Will. Ed è l'amore, l'amore che fornisce il trampolino per incominciare il viaggio di scoperta sulla scalcinata macchina della nostra vita, delle nostre esperienze, del nostro carattere, diretti verso lo stato-frontiera per antonomasia, quella California che solo dopo essere stata esplorata può consentirci di ritornare nell'ordine e nella consolidata tradizione rappresentata dalla città spiritualmente più europea d'America. Solo allora saremo in grado di comunicare agli altri qualcosa che non sia già in qualche libro.