Claude Lanzmann: le possibilità del racconto

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Si è spento questa mattina a Parigi all’età di 92 anni Claude Lanzmann. Giornalista, filosofo, scrittore e regista Lanzmann è stato uno degli intellettuali più influenti e rilevanti di tutto il secondo dopoguerra soprattutto per il suo apporto al dibattito politico, storico e culturale intorno alla Shoah.

Di famiglia ebrea nacque a Parigi nel 1925, nemmeno ventenne entrò a far parte della Resistenza durante la Seconda guerra mondiale e in seguito, mosso da un acceso fervore politico fu protagonista della temperie culturale parigina degli anni Sessanta. Amico di Jean-Paul Sartre, compagno di Simone de Beauvoir e collaboratore della rivista “Les Temps Modernes” (di cui è stato direttore dal 1986 fino alla morte) è riuscito a conciliare la sua fede nella dottrina comunista (celebri i suoi viaggi in Corea del nord) con la vicinanza a Israele, portando avanti la propria lotta contro il colonialismo e le guerre (soprattutto Vietnam e Algeria).

L’opera per il quale è universalmente ricordato e conosciuto è però il documentario uscito nel 1985 (dopo una gestazione di più di dodici anni) Shoah. Un lavoro unico e imprescindibile non solo per la sua funzione di testimonianza e memoria della più spaventosa aberrazione del Novecento, ma anche una riflessione acutissima e inarrivabile del senso e della possibilità del racconto. Un film fiume della durata di più di dieci ore che non mostra nulla, in cui l’immagine per precisa scelta del regista abdica in favore del ricordo, narrato in forma orale dai testimoni dell’orrore. Un’opera fondamentale per capire il Novecento e ancora attuale per comprendere – attraverso il racconto, la memoria, la testimonianza – il mondo nel quale viviamo oggi.

I lavori successivi, pur restando opere di indiscutibile valore – sia per la scelta dei temi (nel solco tracciato da Shoah) che per la coerenza formale – non hanno più raggiunto il livello di assoluta grandezza del suo film più celebre. Sobibor – 4 ottobre 1943, ore 16.00 (Sobibor, 14 octobre 1943, 16 heures, 2001), L'ultimo degli ingiusti (Le Dernier des Injustes, 2013) e il recentissimo Napalm (2017) non sono certo i lavori per cui lo ricorderemo, ma segnano a loro modo le tappe di un percorso autoriale che è anche un percorso biografico. Qualcosa in cui la materia della memoria, quella del pensiero, della critica e dell’impegno politico coincidono a un livello talmente alto da aver reso la lunghissima vita di Claude Lanzmann non solo qualcosa di unico ma senz'altro di irripetibile.