Il film di Marcello in concorso

"Bella e perduta"

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Un documentario, un sogno e una fiaba contemporanea: è tutto questo (e forse anche di più) Bella e perduta, unico film italiano inserito in concorso al Festival di Locarno 2015.

È un progetto originale e curioso, a partire dalla sua nascita: durante un viaggio lungo la penisola, il regista Pietro Marcello si è imbattuto nella storia di Tommaso Cestrone, l’angelo di Carditello, unico guardiano e tutore (a sue spese) di una reggia borbonica abbandonata a se stessa. La sua storia doveva essere un episodio del film, ma l’uomo è morto durante le riprese e il regista ha deciso di proseguire quel racconto, arricchendolo con una fondamentale parte di finzione dai toni onirici e surreali.

Pulcinella, dalle viscere del Vesuvio, viene mandato nella Campania di oggi per esaudire l’ultimo desiderio di Tommaso: salvare un giovane bufalo di nome Sarchiapone. È da questo spunto narrativo che nasce Bella e perduta, pellicola che unisce i toni della favola alla denuncia sociale: la reggia di Carditello, bella e perduta come l’Italia di oggi, è un simbolo della tragedia culturale di un paese dove molte meraviglie sono ridotte a discariche pubbliche, poco rispettate e ancor meno valorizzate.

E la chiave di lettura trovata da Marcello è il punto di vista di un povero bufalo, maschio e per questo considerato inutile, capace di guardare e analizzare tali orrori in maniera ben più profonda di molti esseri umani.

Se la scelta di dare voce al Sarchiapone poteva apparire azzardata, il regista riesce invece a darle un respiro delicato e mai invasivo, optando per una sorta di voice over (la voce è di Elio Germano), che funge sia da narratore che da commento esterno alla vicenda raccontata.

Impeccabili anche il modo in cui Marcello scava a fondo nella cultura partenopea e la sua capacità di giocare con le immagini e con la notevole colonna sonora. La scelta della pellicola a 16mm è più che funzionale a un'opera che gioca con gli archetipi, i simboli, il paesaggio.

Il tocco è prettamente pasoliniano (e, con tali premesse, non poteva essere altrimenti) ma, allo stesso tempo, dotato di una personalità rara nel cinema italiano, che il regista de Il passaggio della linea e La bocca del lupo ha sempre dimostrato nel corso della sua carriera. Da premiare.