Per una rosa di Marco Bellocchio

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L’inferiorità è legata al non aver coraggio del proprio desiderio
Lorenzo Colajanni (Vittorio Mezzogiorno) ne La condanna

 

Risulta assai sorprendente come film dopo film, anno dopo anno, Marco Bellocchio raggiunga una sempre maggior libertà, che gli permette di affrontare le sue ossessioni in maniera costantemente rinnovata e originale, senza ripetersi mai, pur risultando riconoscibilissimo fin dalla prima inquadratura.
Per una rosa è un cortometraggio di 18 minuti, presentato nella sezione Fuori Concorso: Shorts all’ultimo Festival di Locarno, frutto del lavoro svolto con gli allievi del Progetto Fare Cinema.
In neanche venti minuti Bellocchio è riuscito a mettere tutto il suo cinema, i suoi temi, facendone un piccolo gioiello.

È estate e Elena, una giovane ragazza di Bobbio, è al primo giorno di lavoro nel bar di fronte al Ponte Gobbo. Nel corso della giornata ha l’occasione di incontrare personaggi diversi, ascoltare storie differenti eppure tutte con un comune denominatore: la dialettica tra le convenzioni sociali, il buon senso da una parte e il desiderio, l’anticonformismo dall’altra.
Il bar è di proprietà di una donna ancora piacente il cui marito si è suicidato gettandosi nel fiume Trebbia e che sembra non aver accettato la morte del consorte che, di tanto in tanto, dichiara ancora in vita, preoccupandosi addirittura che non faccia il cascamorto con la nuova arrivata, essendo l’uomo tutt’altro che fedele. Quando si sporge dal Ponte, tra le mani un mazzo di rose, che avrebbe dovuto portare al cimitero come ogni giorno, il barista che sta insegnando a Elena come comportarsi dietro al bancone, preoccupato la raggiunge e le cinge le spalle per bloccare un eventuale salto nel vuoto. La donna, un po’ frastornata, lo guarda, avvicina il viso al suo e gli chiede di abbracciarla. Il ragazzo, in imbarazzo, ha un momento di esitazione, la guarda ma si allontana, quasi fuggendo. Sullo sfondo una coppia di sposini “messi in scena” dal regista di matrimoni di turno.
Nel corso della giornata un giovane uomo col cappuccio tirato sulla testa, entra e esce chiedendo di bere della grappa, si serve da solo, non paga, prende i soldi dalla cassa e se ne va, sotto lo sguardo incuriosito ma anche un po’ spaventato di Elena. “Ma beve la grappa già la mattina?” chiede al barista “Sì” risponde lui “si sta disintossicando dall’eroina”. La giovane, dapprima sorpresa dalla risposta, quando vede il ragazzo ritornare prepara un bicchiere e gli versa la grappa, dando per scontato che, dipendenza per dipendenza, questi non cerchi e non voglia altro. “Scusa, ma chi te l’ha chiesto?” è la sua risposta a un gesto semplice, abituale, ma che pone immediatamente l’ex-tossicodipendente all’interno di uno schema, di un’abitudine.
Tra gli avventori del bar c’è anche un uomo disperato, che si augura addirittura di avere una malattia grave per giustificare una dimenticanza a suo avviso imperdonabile. Prostrato si mette a raccontare agli altri presenti l’accaduto. Il giorno prima era uscito di casa e passando davanti a un fioraio aveva visto una rosa e voleva comprarla per la moglie, che ama moltissimo, per farle una sorpresa. Ma il costo della rosa era a suo avviso eccessivo e dunque aveva lasciato perdere. Rientrato a casa sente la moglie al telefono che ringrazia l’interlocutore per gli auguri di compleanno e vedendo arrivare il marito a mani vuote rimane ovviamente delusa. L’uomo aveva totalmente scordato il compleanno della donna e non riusciva a darsi pace per averla amareggiata. A quel punto una signora rimasta in silenzio fino a quel momento interviene dicendo che in realtà lui dovrebbe essere felice di aver avuto voglia di regalare un fiore alla moglie indipendentemente dalla “festa comandata” o dall’occasione ovvia, dunque agendo sulla base del desiderio e non delle convenzioni sociali. Quel che ha rovinato questo slancio è stato appunto il calcolo, l’avarizia o il comune buon senso di non voler pagare un’esagerazione per una rosa. Di questo dovrebbe scusarsi con la moglie non tanto di aver scordato una ricorrenza in un certo senso banale.

In fondo tutte queste brevi storie che si incrociano nel corso di una mattina e di un pomeriggio non fanno altro che contrapporre due possibili comportamenti: quello serio, meditato, conformista, e quello che al contrario rompe ogni schema, per seguire un’intuizione o una pulsione. Così la donna che chiede al ragazzo di essere abbracciata, senza pensare alle conseguenze, all’ambiguità del gesto; così l’ex-tossicodipendente che rifiuta la grappa quando questa diventa un’abitudine “socialmente riconosciuta” (la ragazza, al lavoro solo da un giorno, dà già per scontati i comportamenti del giovane); così l’uomo che ha scordato il compleanno della moglie (obbligo) ma che sul momento voleva regalare una rosa alla donna, senza alcun motivo.
In fondo il cinema di Marco Bellocchio, in maniera chiaramente politica, porta all’emersione di ciò che, con un preciso meccanismo di difesa, viene costantemente rimosso: il desiderio. Per contrapporre il desiderio alla legge, allo status quo, Bellocchio ha ripetutamente, in maniera più o meno esplicita, utilizzato il personaggio di Antigone, e lo fa anche questa volta. Quasi tutti i personaggi sembrano essere al limite della follia nel momento in cui si lasciano andare a quello che sembra essere il desiderio irrefrenabile di un gesto, di solito socialmente sconveniente.

Al termine della giornata Elena, che fino a quel momento ha osservato attentamente, ha ascoltato con curiosità, ma non ha ancora compiuto un’azione che indichi una scelta rispetto a opportunità e pulsione, si trova finalmente a dover decidere tra buon senso e desiderio. Mentre cammina sul Ponte Gobbo per tornare a casa viene chiamata dagli amici che stanno facendo il bagno nel fiume e che le chiedono se la sera andrà a ballare con loro. Lei risponde di no, perché è stanca e deve alzarsi presto la mattina per lavorare. Gli amici insistono un po’ e la invitano a fare il bagno con loro. Elena dice di non avere il costume con sé ma, guardandoli, rimane titubante, indecisa. Nel momento in cui una delle amiche insiste nuovamente, la ragazza dimentica la stanchezza e l’alzataccia la mattina successiva, non riflette troppo sul fatto di non avere un costume da bagno, e si unisce agli altri nel Trebbia. E il punto in cui i ragazzi e la protagonista fanno il bagno è il punto in cui nel magnifico Sorelle Mai Gianni (Gianni Schicchi) scompare tra le acque, dando l’addio al passato e al mondo, è anche il punto in cui, nella prima parte di Sangue del mio sangue, Federico Mai (Piergiorgio Bellocchio) getta le chiavi che Benedetta gli ha consegnato per raggiungerla quella stessa notte.
Elena, invece, benché si tratti di un piccolo gesto, non si chiude, non rinuncia, non “muore” ma agisce secondo la pulsione del momento, il desiderio irrazionale, l’unico che renda l’essere umano realmente vivo