Patricia Neal. «A Man and a Woman»

Oscar 1967

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Nel 1966 Jack Valenti si traferisce da Washington a Hollywood. Lascia l’incarico di governo alla corte di Lyndon Johnson e diviene Presidente della Motion Picture Association of America. La conseguenza diretta di tale evento non è la carriera di uomo di cinema più potente d’America per i successivi 38 anni, né il controllo della lobby conservatrice a favore degli Studios, né la decisione del sistema di censura tuttora in vigore negli States, né la lotta contro il progresso tecnologico della distribuzione. Tutt’altro.

L’imbarazzo più indigesto è la costante presenza istituzionale di Jack Valenti alla cerimonia degli Oscar e il suo ruolo di monopolio di presentatore ufficiale della categoria Best Foreign Language Film, anno dopo anno, valletta dopo valletta, papillon dopo papillon (per dire, è Jack Valenti a premiare Buñuel nel 1973 per Il fascino discreto della borghesia, Fellini nel 1975 per Amarcord, Kurosawa nel 1976 per Dersu Uzala, Szabó nel 1982 per Mephisto, Bergman nel 1984 per Fanny e Alexander, Ang Lee nel 2001 per La tigre e il dragone).



Nel 1967 a quanto pare la freschezza di Mr. Valenti lascia ancora spazio ad altri invitati e ospiti d’onore. A premiare il miglior film straniero dell’anno il cerimoniere Bob Hope invita Patricia Neal. Interprete immensa e dal talento sconfinato (premiata come miglior attrice protagonista nel 1964 per Hud il selvaggio e amata nella vita privata da Gary Cooper e poi da Roald Dahl), donna sfortunata ma coraggiosa (assente dalle scene da alcuni anni per via del decesso della figlia, poi di un ictus, di un coma, di una paralisi e di una lunga riabilitazione fisica). «All of us are grateful for the return to our community of Mrs. Patricia Neal»: la platea del Santa Monica Civic Auditorium accoglie l’apparizione di Patricia Neal con la prima e straordinaria standing ovation nella storia televisiva degli Oscar.
L’Academy la saluta e lei, fiocco enorme cinto in vita, introduce i cinque candidati al miglior film straniero dell’anno: La battaglia di Algeri (Italia), Gli amori di una bionda (Cecoslovacchia), Un uomo, una donna (Francia), Il faraone (Polonia) e Tre (Jugoslavia). Prima di ritirare da lì a pochi minuti anche l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale, Claude Lelouch sale sul palco mantenendo intatto fascino e taglio di capelli (a cui Fabio Fazio si sarebbe poi ispirato) e ringrazia l’Academy.

Ammettendo ovviamente di non saper parlare l’inglese, Lelouch aggiunge nella sua lingua madre, la lingua dell’amore, che il suo film è un film sull’amore e ha avuto un grosso successo di pubblico in Europa (…). Anouk Aimée, bellezza mozzafiato in rosso, siede in platea e sorride al suo regista, in attesa di vincere anche lei il suo Oscar come miglior attrice dell’anno (negatole, ci mancherebbe, a favore di Elizabeth Taylor per Chi ha paura di Virginia Woolf?).

Che Lelouch meriti l’Oscar più di Gillo Pontecorvo o più di Milos Forman non ci è dato dire. Che la sua vittoria celebri la storia delle storie d’amore sulle note di Francis Lai ci è dato pensarlo, a San Valentino.

I vincitori e i nominati della 39a edizione dei premi Oscar, dal sito ufficiale dell'Academy
La clip con Patricia Neal, dal canale YouTube ufficiale dell'Academy