Omaggio a Hoffman (5): "La 25ª ora"

La fottuta realtà

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È un dialogo che ha la forma di una parentesi.

Una sola inquadratura, introdotta da un breve movimento di macchina in avanti e chiusa da una transizione focale. Un'unica inquadratura, fissa, su due personaggi: Francis, il cinico broker senza scrupoli, e Jacob, il pacioso insegnante invaghito di un'allieva adolescente. È il dialogo dell'addio e dell'assunzione delle responsabilità. Le due figure impalate davanti a un ampio finestrone oltre il quale si vede il cantiere spettrale di Ground Zero, livido e malinconicamente evocativo.

I due personaggi discutono di un addio, quello del loro amico Monty, della sua ultima sera in libertà prima della condanna a sette anni per possesso e spaccio di droga. Francis è diretto come sempre, stilettate modulate come se fossero speculazioni del mercato azionario. Jacob, di contro, pare un illuso: abbozza speranze che non ha la necessaria energia di sostenere, mentre si abbandona a sorseggiare una bottiglia di birra che sostituisce la vacuità di risposte sempre più vaghe e incerte.

Oltre le due figure c'è sempre il finestrone livido e malinconico. L'addio. Di Monty. Del loro legame. Della città colpita, che giace inerme al di là delle loro sagome, come un protagonista esangue.

È La 25ª ora, l'ora eccedente. L'ora che adesso trova un altro significato.

«Stasera finisce tutto, affronta la fottuta realtà», è il congedo di Francis a Jacob, che si affaccia muto dal finestrone per guardare con i suoi occhi gli effetti della tragedia. Di un popolo, di un'idea, di ogni singolo individuo. Uno scivolamento della messa a fuoco sbiadisce la sagoma di Jacob e si affaccia sullo scenario della tragedia. Non è più solo la tragedia di Monty e di New York, è anche il dramma intimo di Jacob.

«Stasera finisce tutto, affronta la fottuta realtà». La fottuta realtà, forse, è tutta in un lieve focus shifting.