Concorso Venezia 73

El ciudadano ilustre di Mariano Cohn e Gaston Duprat

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La presenza del genere in competizione è ormai tabù sdoganato da tempo nei festival di cinema e il concorso di Venezia 73 lo conferma più che mai: musical, mélo, western, thriller e, con il film argentino, anche la commedia. El ciudadano illustre è infatti una solidissima commedia grottesca che racconta la storia di Daniel Mantovani, premio Nobel per la letteratura, traferitosi da decenni in Europa ma nativo di un paesino della provincia argentina a settecento km dalla capitale. Daniel deve il suo successo proprio al racconto di quella realtà provinciale dalla quale ha sempre e soltanto sognato di fuggire ma nella quale, almeno con la sua arte, è sempre rimasto intrappolato. Quando riceve una lettera del sindaco del paese che gli annuncia la volontà di insignirlo della cittadinanza d'onore, Daniel, da cinque anni in uno stato di crisi creativa e di insofferenza verso il mondo della cultura che lo osanna, decide inaspettatamente di affrontare il viaggio verso quel posto in cui lui, dice, non è mai riuscito a tornare e dal quale, continua, i suoi personaggi non sono mai riusciti ad uscire.

El ciudadano illustre è un film intelligente, scritto benissimo e recitato con grande mestiere, ma è, soprattutto, un oggetto molto più complesso di quanto possa sembrare. Leggendo del background dei registi, in origine videoartisiti poi lungamente e con grande successo impegnati come autori di format televisivi e, infine, con una curiosa e multiforme filmografia alle spalle, si capiscono meglio alcuni degli aspetti più enigmatici del film. Come quello formale, per esempio, che opta per una fotografia apparentemente "sciatta", almeno inizialmente, misteriosa. Questa veste assume però un senso proprio nel momento in cui a Daniel appaiono in sogno alcuni personaggi minori che lo fissano impugnando un'arma; essi vengono significativamente messi in scena - al contrario del resto - con una precisione quasi pittorica, un'esaltazione cromatica quasi da cybachrome, ritratti come statue ma installati come fossero dentro un'opera in live action (qualcosa di simile alle figure dell'incipit del film di Tom Ford). Anche la cura estetico/scenografica di alcune delle scene più comiche dei film, come il video che omaggia lo scrittore ricostruendone la vita tra sovrimpressioni ultra cheap, arcobaleni vintage e fotomontaggi deliranti che scivolano da un'immagine all'altra in un PowerPoint rudimentale o come, ancora, la scena dell'intervista nello studio televisivo del paese, tra scenografie miserrime, presunti giornalisti con occhiali da sole sempre in testa e televendite improvvisate.

Tutto in El ciudadano illustre è costruzione del dettaglio. La descrizione dei personaggi di contorno che gli compaiono nel sogno, per esempio, quelli incontrati solo per pochi istanti eppure indispensabili nella progressione della sceneggiatura, ma anche la precisione estrema con cui sono caratterizzati gli ambienti, le case, l'albergo (che, dice Daniel, lo fa sentire in un film rumeno). El ciudadano ilustre è, d'altronde, proprio un film su quello che sta intorno, sui dettagli, sui particolari, che quanto più sono specifici e descrivono il paesaggio umano e ambientale di contorno, tanto più delineano la solitudine del personaggio principale. Daniel è solo, ovunque alieno. Uno straniero in Europa, un gringo in Argentina. Sempre fedele a se stesso, sempre estraneo alla situazione, che si tratti della cerimonia di attribuzione dei premi Nobel oppure della premiazione del concorso per pittori dilettanti del pueblo. Daniel è l'artista che osserva criticamente la realtà e la rielabora attraverso la narrazione tentando un esorcismo personale ma anche imponendo la propria posizione di intellettuale, quella che lo costringe alla solitudine, al conflitto, alla rinuncia di un'appartenenza confortevole perché di quella e da quella si alimenta. Così l'artista, il narratore, vive la condizione di apolide, creatore sospeso tra l'immaginazione e la verità, sempre intento a costruire una storia dietro ogni segno, ogni ferita, ogni cicatrice; che poi la storia sia vera o immaginata in fondo non conta nulla.