Venezia 73 - Fotodiario

“...e il buco non c’è più!”

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Parafrasando un famoso carosello inventato da Armando Testa a metà degli anni ’60, come non parlare nel primo foto-reportage da questa 73° Mostra del Cinema di Venezia della grande paesaggistica novità di quest’edizione 2016, e cioè dell’agognata scomparsa qui al Lido di quell’odioso baratro di amianto e vergogna da tanti anni aperto proprio di fronte al Casinò.

Doveva essere il nuovo palazzo del cinema e diventa invece un molto più semplice (attenzione, non umile) nuovo schermo cinematografico per la Mostra, la Sala Giardino, con annessi - nomen omen - giustappunto i giardini, una distesa non indifferente di prato all’inglese con tanto di alberi piantati già cresciuti (miracoli della tecnica, speriamo non facciano la fine di tanti alberi di Natale il giorno della Befana...) e attorniati da fotogenicissime aiuole dal caldo color senape.



Sul giardino sosteranno su appositi cuscinoni e materassi colorati ripieni di polistirolo espanso famigliole prostrate da troppi figli e cinefili spossati da troppe visioni. Il successo effettivamente è garantito.



Sul versante strettamente economico e di marketing, poi, come non apprezzare l’iniziativa di dedicare queste visioni a un pubblico forse meno specialistico ma non per questo meno meritevole d’attenzione. I biglietti per la Sala Giardino, o sono gratis o costano al massimo 3 euro - sì, avete capito bene. E per giunta sono per tutti, non occorre nemmeno essere accreditati.



Che la Mostra sia diventata il paese del Bengodi? Forse. Certo fa impressione ripensare ai 40 milioni di euro stanziati e spesi per il “buco” dal 2004 ad oggi, nuova sala e giardini noncompresi.



Sì, perché dopo aver deciso che la Mostra aveva bisogno di un palazzo nuovo, e dopo aver scartato l’idea di utilizzare gli esistenti e disponibili spazi del sovradimensionato ospedale del Lido (oggi comunque chiuso, abbandonato e derubato di tutto il rame ivi contenuto), si decide di scavare di fianco all’esistente Palazzo del Cinema e davanti al Casinò. Subitò, si scopre che i resti di vecchi stabilimenti balneari smantellati negli anni ‘50 e ricchi di asbesto sono stati sotterrati proprio dove si sta scavando. Risultato: lavori bloccati per undici o dodici anni fino a che l’anno scorso finalmente non si riesce a portare tutto, insacchettato a dovere, in Germania.



Eh sì, perché lassù con questo tipo di asbesto si possono fare le autostrade, la loro legislazione lo consente, e quindi i tedeschi sono felici di procurarsi, dietro nostro lauto pagamento, tutto questo materiale da costruzione.

Non lamentiamoci comunque. Oggi la Mostra può contare su quasi 450 posti a sedere in più in uno spazio bello, piacevole a viversi ed efficace nella fruizione dei film che vi vengono presentati. Il cubo rosso (per i maniaci del rosso, codice 3020) non nasce, quindi, solo per nascondere una voragine che ha inghiottito soldi e consegnato per più di dieci anni e a tutto il pianeta un’immagine deleteria di questo paese, ma fa di più: cambia di segno a questo simbolo, a questa vergogna.

La trasforma in un atout, in un vantaggio. Porta a quasi 6000 posti l’offerta della Mostra e si apre lodevolmente a una fetta di pubblico finora piuttosto ignorata qui al Lido. Da Muccino a Kim Ki-duk, da James Franco a Howard Hawks passando per l’animazione in 3D di Pets e agli incontri con gli autori aperti a tutti la “rivoluzione gentile” qui alla 73esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia pare essere davvero cominciata. Non ne siete convinti anche voi?