Concorso

Foxtrot di Samuel Maoz

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Che sia declinato in versione low o quickstep, il foxtrot ti riporta sempre al punto di partenza. Un movimento semplice, ripetitivo che spinge il danzatore nelle quattro direzioni, dandogli l'illusione di potersi proiettare dove vuole, avanti, a destra, in dietro, a sinistra, padrone dei quattro punti cardinali e dei quattro angoli del mondo. E invece no. Implacabile, il foxtrot tiene i piedi incollati al terreno e li riporta dove avevano preso a muoversi. In quel quadrato di inesorabilità sta tutto il film di Samuel Maoz.

Il destino è il cardine intorno al quale ruota Foxtrot, tragedia in tre atti che tiene lo spettatore bloccato nello spazio quadrato creato dal movimento del film. Primo atto, un passo avanti: Michael e sua moglie, chiusi nel loro elegante appartamento di Tel Aviv, ricevono l'annuncio della morte del figlio soldato e il dramma ha inizio. Secondo atto, un passo a destra: cambia la scena e le pareti dell'elegante appartamento lasciano il posto al deserto. Ora sono i soldati, Jonathan (il figlio) e i suoi commilitoni, a essere bloccati da qualche parte nel nulla a far la guardia a un assurdo check-point dove non transita praticamente nessuno. Solo qualche fantasma muto, qualche visione che si materializza davanti alla sbarra sgangherata del posto di blocco, ma nulla che giustifichi la loro loro presenza e che possa arrestare il lento sprofondamento nel fango del container che li ospita. Avanti, tutti i giorni uguali, vuoti e inutili. Fino a una cesura netta: passo indietro, a introdurre l'ultimo atto, l'ultimo balzo che riporta tutti al punto di partenza.

Di nuovo nell'appartamento dei genitori di Jonathan si cambia ancora una volta registro, proseguendo in quella danza dalla traiettoria precisa ma dai doni mutevoli: dramma, surrealtà, commedia. Dove siamo? Cosa è successo davvero? Tutto si trasforma, imprevedibilmente, ma la questione di fondo resta sempre la stessa: possono le nostre azioni modificare il destino? 

Samuel Maoz costruisce un film precisissimo, in cui si rivolge al contemporaneo (e alla storia passata del proprio paese) sia con il filtro della classicità narrativa sia  della mutevolezza della forma e dei toni. Un costrutto preciso come il passo di danza che gli dà il titolo, ma così studiato da restare vittima della stessa elucubrazione che gli dà corpo. I cambi di tono, gli inserti surreali che richiamano il cinema di Elia Suleiman senza averne la poesia e lievità, l'animazione, la musica, l'estetizzazione estrema...: Foxtrot esprime un’idea di cinema intelligente, ma di un'intelligenza che cammina pericolosamente fianco a fianco con la furbizia, finendo per farne le spese.