Concorso

Zan / Killing di Shin’ya Tsukamoto

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Se Fires on the Planes, il precedente film di Shin’ya Tsukamoto, rifletteva con toni apocalittici e schizofrenici sulla follia senza senso della guerra, l’ultimo lavoro del regista giapponese si sofferma sul senso di uccidere e il dilemma morale che ne scaturisce. Un conto è avvallarne il principio, in nome della patria o della salvaguardia della pace e più in generale di un ideale; un altro è passare dalla teoria alla pratica nel momento in cui ci si trova per la prima volta di fronte a un nemico che mette a rischio la tua incolumità.

La parabola, a partire da un assunto profondo e universale nella sua elementarità, si compie attraverso il percorso iniziatico di un giovane samurai nell’antico Giappone della dinastia Edo. Pur abilissimo nell’arte del bushido, costui non ha mai ucciso nessuno. Quando la sua strada incrocia quella di un altro samurai più anziano e senza padrone (interpretato dallo stesso Tsukamoto), il protagonista accetta senza indugio di unirsi a lui in una missione volta a impedire lo scoppio di una guerra e l’imminente fine della dinastia. Ma alla vigilia della partenza, un gruppo di predoni invade il suo villaggio sterminando la famiglia della ragazza di cui è innamorato. È così che il protagonista, prima ancora di sporcarsi le mani col sangue dei nemici, si trova improvvisamente in balia di un logorante conflitto con se stesso, una volta resosi conto di essere diviso tra il desiderio di vendicarsi e l’impossibilità etica e morale di usare la spada. Un blocco che si ripercuote anche sulla dimensione più umana e affettiva del giovane samurai, incapace com’è di esternare la passione che prova nei confronti della ragazza se non attraverso una ripetuta e disperata attività masturbatoria.

Killing è il primo film in costume di Tsukamoto e quello dove maggiormente si percepisce la volontà del regista di spostarsi dagli scenari industriali e tecnologici dei suoi primi film agli spazi più aperti e naturali dei suoi lavori più recenti. In questo senso, tutto ambientato tra i campi di riso e le foreste di un Giappone rurale e pre-industriale, è quasi un film primigenio.

Sarebbe comunque un errore pensare che Tsukamoto abbia preso completamente le distanze dal contenuto e dalle tematiche che caratterizzavano i suoi primi film cyberpunk. Non è un caso che le inquadrature che aprono Killing siano proprio i dettagli della fabbricazione di una spada all’interno di una fonderia. Se è vero che quest’arma rappresenta nella cultura giapponese il primo indissolubile rapporto tra l’uomo e la tecnologia, è evidente come il cinema di Tsukamoto stia compiendo un’evoluzione a ritroso alla ricerca delle origini di questo rapporto ossessivo, feticistico, di contaminazione tra l’uomo e la tecnologia.

Privo di qualsiasi orpello narrativo e stilistico, quello di Tsukamoto continua a essere un cinema profondamente materico, allo stadio grezzo, che vive dei suoi elementi primari. Un cinema elementale, fatto di sangue, impulsi dell’animo, e ossessioni che rimbombano nell’inconscio come la perpetua e irresistibile colonna sonora di Killing. Che di questo cinema puro e radicale rappresenta la quintessenza.