Visioni del futuro (4): "Minority Report"

Io (ti?) vedo

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Molto spesso la fantascienza è già storia vecchia.

2001: Odissea nello spazio, 1997: Fuga da New York, Spazio 1999, persino 2012: numeri e date allora lontanissime nel tempo, e che invece abbiamo già abbondantemente superato senza nemmeno accorgercene.

A volte capita poi che il cinema provi ad immaginare il futuro prossimo nei suoi aspetti più plausibili e concreti, dimostrandosi incredibilmente vicino alla realtà effettiva delle cose.

Quando comincia a lavorare su Minority Report, Spielberg chiama a raccolta un gruppo di esperti (scienziati, medici, sociologi e scrittori) e si siede con loro attorno ad un tavolo: la scommessa è quella di rappresentare il 2054 in maniera credibile e plausibile, nel tentativo di anticipare tendenze e scoperte tecnologiche.

Oggi, nel 2014, molte delle profezie del film sono già realtà: la pubblicità si rivolge direttamente al singolo e non più alla massa (basti pensare alle inserzioni su facebook, filtrate in base alle proprie ricerche personali), le videoconferenze tramite skype sono all’ordine del giorno in qualsiasi azienda, e persino i quotidiani digitali non stupiscono più nessuno (anche se nel film apparivano decisamente più ingombranti degli attuali tablet).

Certo, nessuno è ancora in grado di prevedere con esattezza chi commetterà un crimine, o in che modo, ma non è questo il punto: Minority Report è la rappresentazione di un futuro che è già qui e ora, perché pone al centro di ogni cosa la funzione dello sguardo. Gli occhi. Tanto nel film quanto nella nostra quotidianità attuale, qualsiasi azione o pensiero non può svincolarsi dal ruolo dell’immagine. E questo flusso ininterrotto di dati visivi, questa overdose di frame, questa sorta di squid ante litteram, in Minority Report non può che trovare una fine ingloriosa e inevitabile: il ritorno alla carta stampata. Al silenzio. Alla lettura. Perché più cerchiamo di allargare l’orizzonte dei nostri sguardi, più diventiamo ciechi (e questo ce lo ricorda anche Romero con Diary of the Dead).

La prima parte della profezia di Spielberg si è già avverata, quindi. Per la sua epifania, invece, non resta altro che attendere.