Cinema e pittura (1): Barry Lyndon

L'essenza del reale

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Ora che Barry Lyndon è stato restaurato, ridistribuito e soprattutto rivisto – in sala, sul grande schermo, in una versione digitale che forse, per una volta, rende onore più della pellicola alla luminosità cromatica voluta al tempo da Kubrick – la rete è tornata a riempirsi di saggi e gallerie fotografiche che giustamente sottolineano la straordinaria relazione fra le immagini del film e la pittura di fine XVIII e inizio XIX.

Gli esempi sono quasi sempre gli stessi, se ne trovano ovunque; i pittori chiamati in causa, pure. John Constable, paesaggista inglese vissuto a cavallo fra i due secoli citati; William Hogarth, inglese pure lui, vissuto un poco prima (nato nel 1697, morto nel 1764), pittore e incisore satirico; Johann Heinrich Fussli, svizzero, pittore e anche letterato. Esempi di relazione fra inquadrature e quadri come questi:

 

Ma sarebbe forse un po’ ridurre la sensibilità pittorica di Barry Lyndon a un semplice dialogo, per quanto illuminante, fra ricostruzione veritiera del Settecento e sua rappresentazione pittorica. Nelle immagini di Kubrick, anche oltre (o forse, soprattutto oltre) la volontà del suo autore, ci sono un movimento, una geometria, una consapevolezza spaziale e luminosa che richiamano altri, più illustri e posteriori rimandi pittorici.

L’immagina kubrickiana non ricalca più, insomma, la pittura, ma la evoca, la ricrea, la sovrappone.

E se magari, per affinità storica o quasi, il rimando a William Turner (ne parleremo anche più avanti, quando uscirà il film di Mike Leigh dedicato al pittore romantico inglese) è ancora voluta,

lo è un po’ meno quello ad Alberto Burri, a cui quasi sicuramente Kubrick non pensava, ma che in qualche modo riesce a evocare, facendo della sua maniacale precisione storiografica un approccio in realtà astratto alla realtà, alla natura, al divenire storico.


E Cezanne? Quella casa, «la casa dell’impiccato», blocco geometrico attorno a cui il pittore francese bilancia il resto della composizione, ritorna in maniera quasi inconsapevole in un’inquadratura di Barry Lyndon, trasformandolo, perché no, in un film impressionista. Post-impressionista, geometrico, spirituale, materico.

è invece probabile che Kubrick abbia pensato a questo quadro di Segantini, Le due madri:

per una delle sequenze più belle e dolci del suo film, quando Barry, durante la sua fuga dall’esercito inglese si ferma per riposare nella casa di una contadina e se ne innamora. La luce è soffice, calda, povera ma accogliente, e quel giallo e quell’arancione sono materni come le due donne, le due femmine del dipinto.

Ma c’è anche altro ’900, in Barry Lyndon. C’è una pittura astratta che insegue l’essenza del reale e rimanda non si sa come, per pura e semplice intuizione, alle composizioni di Kubrick.

C’è l’essenza cromatica dei passaggi di luce di Rothko, astrazione, esposizione fuori fuoco della precisione kubrickiana:

e c’è l’essenza minimale delle composizioni leggere e insieme minuziose di De Staël, piccoli quadratini che si prendono i campi coltivati di Barry Lyndon, dopo che questi glieli ha inconsapevolmente rubati.

 

In occasione dell'uscita in sala di "Turner", nuovo (splendido) film di Mike Leigh, abbiamo deciso di dedicare un focus al rapporto tra cinema e pittura. Questa è la prima puntata.