Sesso e cinema 7. "Closer"

Tutti ne parlano, nessuno lo fa

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Un appartamento elegante con al centro una scala. Un uomo è appena tornato da un viaggio di lavoro e confessa un tradimento. La donna, di rimando, ne confessa un altro, più profondo e duraturo. Il duello (un inseguimento in verticale) si innesca dopo il rifiuto di un approccio e si trasforma nell’asettica, implacabile descrizione di un atto sessuale evocato nei dettagli, più vero del vero, oscenamente intimo. In un altro appartamento intanto si consuma un altro abbandono, meno strilli e uguale dolore, parallelo e conseguente al precedente. 

Questa sequenza, in uno dei rari montaggi alternati del film, è posta al centro esatto di Closer e ne costituisce il nucleo teorico e il cuore emotivo. Attorno a questa scena si sviluppano le azioni dei quattro protagonisti che si incontrano, si scelgono, si amano, si lasciano, si incrociano, si conquistano: esercitano insomma un ipotetico diritto al possesso attraverso l’attrazione sessuale.

In Closer il sesso è ovunque ma non è mai mostrato, perché il suo utilizzo è strumentale e si ripercuote nelle parole prima ancora che nelle azioni, è arma di offesa più che ricerca di piacere, soddisfazione autoreferenziale e mai condivisione di coppia.

Il film si apre con una seduzione a cui si contrappone un tradimento. L’amore è lì nel mezzo, invisibile e non raccontato. La mutazione dei personaggi nasce dagli strappi e dai conflitti che li caratterizzano ben oltre il loro violento desiderio di felicità: sempre al limite della prevaricazione, sul baratro di una primordiale affermazione del sé.

Closer è un film aristotelico in cui il sesso è una limpida immanenza ma la sua rappresentazione è puramente verbale e si esplicita attraverso un uso (aggressivo, passionale, quasi distorto) del logos e non dei corpi. È mediato dalle nostre interpretazioni e mistificazioni, mai puro, inconoscibile e quindi impossibile (forse inutile) da mettere in scena.

Attorno al sesso e al confronto sensoriale del godimento ruota tutta la storia, ma la visione di Mike Nichols e dell’autore Patrick Marber è compiutamente antiromantica. I dialoghi sono interrogatori polizieschi – un battere e levare che ricorda in forma mimetica la meccanicità dell’atto sessuale – in cui è priva ogni speranza di catarsi.

L’uso spregiudicato delle ellissi focalizza i “prima” e i “dopo” cancellando ogni climax sentimentale perché, rovesciando la metafora dell’eterno tempo presente degli amanti, l’adesso – l’assoluto hic et nunc – è una finzione.

Closer è un'anamnesi, un’indagine anatomopatologica su corpi ancora in vita, una figura della catastrofe relazionale di geometrica simmetria, una confutazione del mito della sincerità in amore che si svela come forma estrema di egotismo e atto contundente di rivendicazione. I filtri della civiltà vengono meno lasciando intatto il loro apparato verbale, estremo strumento di aggressione e ultima corazza difensiva. I personaggi sono vampiri che scrivono urlano immaginano simulano sognano sesso ma restano incapaci di concretizzare il contatto fisico se non attraverso un singolo schiaffo, sola oscenità che sembra ancora loro permessa.