INTERVISTE

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Carmine Amoroso ci racconta l'Italia della pornografia

Porno & Libertà, il nuovo film di Carmine Amoroso (Come mi vuoi, Cover Boy), racconta come la nascita dell’industria del porno in Italia, a partire dagli anni Settanta, abbia contribuito a mutare i costumi e la cultura del nostro Paese arrivando a dientare un vero e proprio strumento di lotta. Ne abbiamo parlato con lui.

Cosa ti ha portato a realizzare questo film documentario, dopo due lungometraggi di finzione, ci sono delle letture, delle suggestioni, che hanno influenzato e nutrito la realizzazione di Porno & libertà?
Avevo due progetti di finzione che non sono riuscito a realizzare, perciò sono stato costretto a rivolgermi al documentario, economicamente più fattibile (tra l’altro abbiamo utilizzato anche il crowdfunding). Per quanto riguarda l’argomento ho scelto la pornografia per varie ragioni, innanzi tutto per curiosità, l’immaginario erotico della mia generazione, quella nata negli anni Sessanta, si è nutrita in parte attraverso riviste come Men, le Ore, ecc e i suoi protagonisti come Schicchi, Cicciolina , per me personaggi fantastici, un po’ come gli eroi dei fumetti. In secondo luogo perché il porno di quegli anni era un atto fortemente rivoluzionario nei confronti di una società moralista e infine perché mi ha sempre stupito il fatto che mentre il cinema americano si fosse occupato molto di pornografia (uno su tutti il film su Larry Flynt di Milos Forman) in Italia non si fosse prodotto nulla di interessante. Oltretutto più riflettevo sul tema più mi rendevo conto come l’esperienza porno non coincideva solo con la pornografia, ma fosse una istanza che condizionava e condiziona la comunicazione, le relazioni pubbliche e private, i rapporti di potere. Senza dimenticare che in diversi paesi come Cina, Iran, Corea del Nord, l’accusa di pornografia vale ancora una condanna a morte! L’accusa di pornografia è sempre stata tipica dei regimi dittatoriali.

Il film ha un titolo controverso che ne ha condizionato in parte la sua lavorazione e la successiva distribuzione, ma hai deciso di non cambiarlo nonostante i pareri contrari. Hai subito e continui ad affrontare diverse forme di censura. Trovi che ci siano delle differenze tra la censura di quegli anni ed oggi?
Si a causa di questo titolo ho subito una serie di ostracismi, vere e proprie censure, la parola porno infastidisce, mette paura, è un termine da cui distaccarsi, prendere le distanze. A causa del titolo molti si sono rifiutati di concedermi (pur pagando) i diritti di immagini di alcuni film. L’ AAMOD - Archivio del Movimento Operaio - non ha voluto che il loro nome venisse associato al film (al contrario della Cineteca di Bologna che ci ha messo a disposizione il loro materiale, compreso molti trailer di film porno).
Poi c’è stata la censura operata da facebook, a causa del capezzolo che si intravede sul manifesto, (probabilmente perché associato alla parola porno) che qualche giorno prima dell’uscita del film ci ha oscurato/eliminato per sempre la pagina che avevamo creato , creandoci un danno di comunicazione enorme, visto che essendo indipendenti non potevamo permetterci altri mezzi di promozione. La cosa assurda è che hanno censurato un’opera che racconta la storia di persone che cinquant’anni fa, con grande coraggio e ostinazione, subendo ogni sorta di linciaggio, hanno lottato proprio contro la censura. Una forma di nemesi storica. E poi ci sono stati, e ci sono, tanti festival, tante rassegne, che non ci hanno presi probabilmente proprio per il titolo, perché in qualche modo è come se venisse intaccata la propria reputazione, sembra assurdo, ma in questo periodo di neo puritanesimo è così. Tra la censura istituzionale di ieri e quella, chiamiamola, 2.0 d’ oggi, c’è una differenza sostanziale. Prima almeno sapevi contro chi stavi combattendo, ora non più. La censura è molto più sottile. Viviamo nella “società del controllo digitale”. Con i social il corpo è tornato ad essere oggetto della sorveglianza politica. Siamo tornati ad una società disciplinare. I social media hanno creato un potere mimetico, ci usano facendoci credere che siamo liberi, ma non è così.

La lavorazione è stata molto lunga, ben cinque anni di ricerche. Come hai reperito i diversi materiali che compongono il film? Avevi già pensato in maniera precisa ai temi che avresti voluto affrontare e le persone da intervistare o le cose si sono rivelate durante la sua realizzazione?
All’inizio volevo occuparmi solo di Schicchi, poi il campo si è allargato, ho incontrato persone che non conoscevo come Lasse Braun, diciamo che il film si è costruito strada facendo. Contemporaneamente c’è stato un lungo lavoro di ricerca di materiale, il film come dicevo è un vero prodotto indipendente, nessuno ha voluto produrlo, quindi inevitabilmente abbiamo dovuto cercare il repertorio attraverso molti archivi privati - ricordiamo che le Teche Rai per esempio fanno pagare il loro materiale circa 5.000 euro al minuto! Cifre impossibili per una produzione indipendente. Molto lo dobbiamo anche all’ Archivio Grifi che ci ha dato una mano.

Immagino che la quantità di materiale visionata sia enorme, e che solo una minima parte sia confluita nel film. Ci sono altre cose che non è stato possibile includere?
Si certo, tanto materiale interessantissimo e inedito non siamo riusciti ad inserirlo.

C’è un aspetto che colpisce rispetto ai contributi filmici sui registi che si sono confrontati in modo diretto con la pornografia, attraverso le loro opere negli anni Settanta. A parte la sequenza tratta da “L’ultima donna” di Marco Ferreri; dei lavori di Bertolucci, Pasolini e Oshima vengono mostrate solo delle sequenze fotografiche. Si tratta di una scelta estetica o c’è dell’altro?
Per Bertolucci e Pasolini gli avvocati di Grimaldi non mi hanno concesso di utilizzare le immagini dei film - dimenticando che Ultimo tango a Parigi fosse stato mandato al rogo proprio perché accusato di oscenità e pornografia. Per Oshima è stata una scelta di stile conseguenziale, per le altre immagini come quelle di Paul Morrissey tratte da Flash, Trash, e Heat a cui tenevo molto per ragioni personali, non abbiamo avuto problemi, lui è stato felicissimo di darceli e gratuitamente - fra le immagini d’autore c’è anche Sweet Movie di Dusan Makavejev.

Le musiche di Fabrizio Fornaci sono un elemento di unione tra i diversi elementi che compongono il film, le sonorità rimandano ai beat anni Sessanta e Settanta. Come avete lavorato insieme?
Alcune musiche sono state create per il film, altre sono rivisitazioni di suoi vecchi brani. Fabrizio ha composto molte colonne sonore di film di Joe D’Amato. Mi interessava per questo, era già molto in linea con quello che avevo in mente , una colonna sonora à la Tarantino, una ulteriore dimensione di racconto, costruito anche attraverso i brani che ho amato e che hanno fatto parte della mia adolescenza.

Una grande assente tra i personaggi incontrati è Moana Pozzi, compagna di tante lotte insieme a Ilona Staller e icona degli anni Ottanta. Come mai hai deciso di non includerla?
Moana Pozzi entra in scena e diventa popolare dopo la metà degli anni Ottanta: quando la pornografia cambia rotta. Nel mio documentario mi soffermo sul ruolo politico della pornografia e principalmente del suo rapporto con la controcultura nell’arco che va tra gli anni Sessanta ai primissimi anni Ottanta.