INTERVISTE

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Incontro con Cosimo Terlizzi

Cosimo Terlizzi è un artista italiano attivo tra la Svizzera e la Puglia, sua terra d’origine. Dalla metà degli anni Novanta sviluppa il suo lavoro attraverso l’uso di diversi media: dalla fotografia alla performance, alla video arte, al cinema. Lo abbiamo incontrato alla mostra “Corpo Sensibile – Barlume del Documentario” curata da Marco Bertozzi al MAMBO di Bologna in occasione di Art City 2017, dove ha presentato i suoi due ultimi film: La benedizione degli animali e L’uomo Doppio. Ne abbiamo discusso con lui.

Il tuo lavoro con le immagini si nutre di fotografia, di video arte, di filosofia, di letteratura e di cinema; quello che colpisce immediatamente è che non esiste un confine. Utilizzi tutti questi elementi con grande libertà, a cominciare dai mezzi tecnici dei quali ti servi. Penso ai tuoi primissimi lavori come Nadia, Luca e Roberto dove i video erano generati da diapositive in dissolvenza o Aiuto! Orde barbare al Pratello, realizzato con le videocamere che si usavano negli anni Novanta, sino alle tecniche miste “low-cost” per i tuoi ultimi lavori.
Cosa ti ha spinto ogni volta a scegliere un mezzo diverso? Esiste una relazione imprescindibile con le immagini che crei?

A volte c’è un’urgenza nel creare e altre volte no. Quand’è necessario essere immediati il supporto è aderente all’idea d’immediatezza, ad esempio con l’utilizzo di apparecchiature che ho nelle “immediate” vicinanze. Quando invece l’idea diventa un progetto che può prendersi il suo tempo, i mezzi possono essere di altre forme e avere il loro spazio nella scenaResto dell’idea che l’opera d’arte debba essere il meno mediata possibile. O per lo meno che a guardarla si abbia la sensazione che l’opera sia stata fatta senza nessun mezzo. In fondo penso sia questa la vera dimensione dell’opera, sfuggire dai mezzi con i quali è stata fatta, ma utili per farla esistere.

Tu sei anche autore dei soggetti e delle sceneggiature. Qual è il tuo rapporto con la scrittura?
La scrittura rientra in questa idea d’immediatezza come dicevo. Puoi scrivere in qualsiasi momento e su qualsiasi supporto, che sia un computer o un tovagliolo. La scrittura come forma d’arte può essere una dimensione espressiva libera, ma ad esempio la fase della sceneggiatura rappresenta la costruzione mediata dell’idea, quindi è il momento meno immediato della creazione in scrittura. Per la sua complessità non è un caso che ci si affianca a dei professionisti. È interessante, e l'ho scoperto solo in questi mesi, che l’immediatezza è in qualche modo, sinonimo di libertà.


L'uomo doppio

I lungometraggi Folder (2010) e L’uomo doppio (2012) possono essere visti come un unico film, diviso tra primo e secondo tempo. Al centro della narrazione ci sei tu che attraverso l’atto del documentare, trasformi il tuo quotidiano in un evento performativo dilatato. Qual è stata l’esigenza di questo viaggio introspettivo, che affonda nella tua essenza più intima di artista e uomo?
Ad un certo punto della mia vita, mi sono trovato a vivere in modo frequente la dimensione dello spostamento in luoghi sempre diversi e ad avere la sensazione che il mondo, fosse più che mai a portata di mano. Il crescente utilizzo dei social-network e dei viaggi a basso costo, mi consentivano una rapidità. Il luogo d’incontro con gli amici stava cambiando. Eravamo qui e lì, come schegge impazzite. Il mio lavoro, la curiosità e l’amore mi portavano ad alternare spostamenti fisici o a stare fisso davanti al computer per ore, o giorni interi. Folder è una cartella di dati composta principalmente da foto, video, chat e altri materiali raccolti nell’arco di un anno. Nel 2008 ho deciso di registrare questo tempo ed esporlo nel modo più coerente, per capire cosa stava succedendo. Qualche giorno dopo aver cominciato a lavorare su Folder, la mia cara amica e sorella; Fabiana, si suicidò lasciandomi un dilemma da risolvere: la scritta sul muro “Destroy your ego”.
In effetti avevo cominciato quello che da li a poco avrei chiamato diario audiovisivo. Dovevo scegliere se inserire questo dramma oppure ometterlo, ma in un diario non vi sono censure. Una volta chiuso Folder mi sono immerso ne L’uomo doppio, perché la questione dell’ego non era ancora risolta. Con L’uomo doppio penso di essermi avvicinato alla soluzione del dilemma…

Folder è quasi un film muto pur essendo pieno di suoni. Le didascalie sostituiscono i dialoghi. Le voci le ascoltiamo solo nei momenti di racconti drammatici o scambi intimi; oppure voci filtrate da video chiamate, telefoni o applicazioni di riproduzione vocali. Come mai operi questa differenziazione così netta?
S
ono gli stessi accordi di una sinfonia. Nella nostra vita oggi più che mai riusciamo a porre attenzione simultaneamente a testi scritti, immagini, suoni, slegati tra loro ma che ci raccontano la stessa cosa, su piani differenti. Ad esempio, scrivo in chat mentre sono al ristorante e parlo con chi è al tavolo, in chat seguo pure discussioni, mentre in sottofondo c’è una canzone in filodiffusione e fuori il traffico della città con un’ambulanza che passa, intanto il cameriere si è avvicinato al tavolo e attende che gli mostriamo attenzione. Non so chi tra questi elementi abbia la visione del fatto più esatta, forse proprio l’artista che tenta di affrescare il momento? Folder è questa prova di disegno dal vero. Un disegno calibrato, dove anche l’immagine è un testo e quindi la parola deve sovrapporsi con una certa consapevolezza del suo potenziale.

Nei costanti spostamenti che compi nei due film, c’è sempre una lettura che accompagna e amplifica questi percorsi. “Come si diventa ciò che si è” di Friedrich Nietzsche e Le particelle elementari di Michel Houellebecq. Vuoi dirci qualcosa in merito?
Quando sono immerso in un processo creativo, raccolgo dati intorno a me perché sono più attento a dove il mio sguardo si posa. Chissà per quale mistero spesso l’attenzione cade su parole, immagini, persone, che hanno a che fare con il soggetto su cui lavoro. A volte sono frasi che escono all’improvviso dalle persone vicine, altre volte un brano musicale in radio. In questo periodo per esempio sto montando Dei e rifletto molto su che cosa diventa la sceneggiatura, il peso o il vincolo del testo… Il montatore che mi affianca Andrea Facchini, mi ha prestato il libro di David Mamet I tre usi del coltello, che è funzionale proprio in questa mia fase di scelta di montaggio.


Aurora

La post-produzione suono è un elemento importante che continua, nel tuo caso, un processo creativo e che conferisce una forma più compatta ai tuoi film. Come hai lavorato con Massimo Carozzi di Zimmer Frei?
Massimo Carozzi ha avuto molta pazienza… immagina la mole di materiale sonoro, di differente natura e sporcatura. Conosco gli Zimmer Frei ( gli altri due membri sono Anna De Manincor e Anna Rispoli ndr) dai loro albori, siamo cresciuti e ci siamo usati per anni, tra noi c’è un rapporto di grande amicizia e stima reciproca.

Il tuo percorso incrocia spesso quello di altri artisti che hanno collaborato con te a più riprese, ed in particolar modo quello di musicisti e compositori indie come: Cristian Rainer, Melampus, Stefano Pilia (Massimo Volume), Diego Fontecilla. Come hanno lavorato per la composizione delle musiche di alcune delle tue opere?
Sono artisti che ritengo vicini al mio immaginario e la loro musica è eccezionale. Christian lo conosco da quando eravamo adolescenti.

Con Aurora (2016) osservi il lavoro di un altro artista Alessandro Sciarroni seguendo le varie tappe del suo spettacolo omonimo. Al centro c’è il Goalball, sport praticato da atleti non vedenti o ipovedenti. Com’è nata questa collaborazione?
Alessandro aveva visto i miei precedenti lavori e ne aveva apprezzato la componente performativa. Mi invitò a seguire le prove di Aurora a Parigi, in una fase esclusivamente di ricerca. Lì ci siamo resi conto di quante cose interessanti e utili potevano venir fuori nel lavorare assieme. Nei mesi successivi la sua ricerca si è mescolata alla mia e la mia alla sua, generando due opere differenti.


Aurora

Quello che per noi è il vedere, si trasforma per i protagonisti del film in sentire. Uno di loro afferma come un’immagine perfetta o vedere le cose nel dettaglio distragga da ciò che è essenziale. Immagino tu ti sia posto delle domande su che tipo di rapporto costruire e soprattutto dove decidere di piazzare la camera.
Mi sono avvicinato a loro come un fratello; su cui potevano appoggiare la loro mano per camminare. Ma alla fine sono loro che mi hanno condotto in una dimensione che non conoscevo: che è quella della visione, strano a dirlo, ma è proprio così. Riguardo il mio posizionarmi nello spazio è stato organico rispetto i loro movimenti e questo non li ha distratti. La drammaturgia del film si è composta dal vivo, nell’andare avanti con le prove e nel conoscere i protagonisti.

L’uomo doppio è stato prodotto dalla Buena Onda di Riccardo Scamarcio, Valeria Golino e Viola Prestieri, così come Dei il film che stai montando in questo periodo. Com’è avvenuto il vostro incontro?
Riccardo ha amato molto Murgia – Tre Episodi, un mio film ad episodi appunto. Ne custodiva una copia nel suo scaffale e lo faceva vedere ai suoi ospiti. In occasione della prima di Folder al Cinema Aquila di Roma, ho invitato lui e il suo staff alla proiezione. Lì Riccardo è rimasto folgorato nuovamente e mi ha invitato a proseguire con la sua casa di produzione.


La benedizione degli animali

Ne La benedizione degli animali, prodotto da Traffic Gallery, sei sempre presente come protagonista, ma in questo caso interpreti un personaggio: lo straniero, che con il suo rito sonoro benedice tutti gli animali, nonostante la tragicità del loro destino. Si tratta di un lavoro su commissione?
Dopo L’uomo doppio ho avvertito la necessità di proseguire in un’azione che rendesse giustizia al mondo degli animali della fattoria… bisogna vedere la fine del film per capire di cosa parlo. Roberto Ratti, direttore artistico della Traffic Gallery, m’invitò a realizzare un video nel suo territorio. Ho scoperto che sui colli di Bergamo esiste ancora una dimensione rurale, quella che poi mi ha permesso di realizzare La benedizione degli animali.

Il tuo fare immagini transita dalla video-arte, al cinema, alla fotografia e si indirizza a tre pubblici molto diversi. Riscontri delle differenze nella fruizione della tua opera?
Al momento il pubblico che va a vedere una mia opera al cinema, in galleria o in un museo è lo stesso. Chi in Italia segue il cinema d’autore? Non sono forse gli stessi che sono interessati alla cultura non mainstream? Bisogna che il dibattito su quest’aspetto non rimanga solo nelle chat. Forse il mio prossimo film Dei, scritto con Jean Elia e prodotto da Buena Onda, potrebbe sorprendere positivamente chi ha timore del cinema d’autore.