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Intervista a Bill Morrison, regista di Dawson City

Abbiamo intervistato il regista americano Bill Morrison, che è giunto in Italia per presentare il suo ultimo film, Dawson City - Il tempo tra i ghiacci. Dopo il passaggio in prima mondiale all'ultima Mostra di Venezia, il film esce ora in sala, grazie alla Cineteca di Bologna.
Con Morrison, da anni impegnato in un lavoro di riscoperta e riutilizzo del materiale d'archivio, abbiamo parlato dell'incredibile storia dei film perduti di Dawson City, di evoluzione del cinema e del capitalismo americano, di rapporto fra pellicola e digitale, della morte del cinema e del suo possibile futuro.



Come sei venuto a conoscenza dell’incredibile storia del “tesoro nascosto” di Dawson City?
La prima volta che ne ho sentito parlare frequentavo ancora l’Accademia di belle arti, nella seconda metà degli anni ’80. Era una storia piuttosto nota fra le persone che si interessavano di lavorare con il found-footage. Siccome però nel corso degli anni nessuno ci ha scritto un libro o ne ha fatto un film, la storia non è stata tramandata e così, con il tempo, in pochissimi della mia generazione o di quella successiva ne avevano sentito parlare.
Perché quel materiale ha impiegato così tanto tempo a essere visto, dal momento della sua scoperta nel 1978?
In realtà è stato mostrato e visto più volte, ogni bobina ritrovata è stata restaurata e catalogata in due archivi aperti e accessibili a chiunque. La vera domanda è perché la cosa non abbia interessato nessuno.

Come hai lavorato con il materiale a disposizione? A che punto del lavoro hai deciso di utilizzare i film ritrovati a Dawson e in più altri frammenti di film muti, di fotografie d’epoca e di cinegiornali?
Sono stato fortunato, perché poco dopo aver cominciato a lavorare sul progetto, la Library and Archives of Canada ha installato un nuovo scanner in 4K nei suoi uffici, il che ha significato l’accesso a versioni in alta risoluzione di tutto il materiale originale. Ha sempre fatto parte del progetto l’idea di ri-raccontare la storia usando i film trovati (e non solo archiviati)* insieme ad altro materiale d’archivio di supporto. Un metodo di lavoro che avevo già utilizzato nel corto The Film of Her, realizzato circa vent’anni fa presso Fabrica, il centro di ricerca sulla comunicazione della Benetton.

*qui Morrison usa un gioco di parole intraducibile fra find (trovare) e fund (fondo, archivio)



E quando hai stabilito la struttura narrativa del tuo film, cominciando il racconto dallo scoppio della febbre dell’oro alla fine del XIX secolo?
La storia comincia nel 1895, quando i Lumière brevettano il Cinematografo e, contemporaneamente, Chief Isaac viene nominato capo tribù nella valle del Klondike dove sarebbe poi nata Dawson City. L’oro viene scoperto nel 1896, lo stesso anno in cui si è cominciato a proiettare film pubblicamente e a scopo commerciale, ed entro il 1898 la febbre dell’oro era in pieno svolgimento. Per me era chiaro fin da subito che per capire in che modo questi film fossero finiti in terre così remote, era indispensabile conoscere la storia e lo sviluppo di Dawson. Ed era davvero interessante accorgersi di come la creazione della città avesse coinciso con la nascita del cinema.

Tu lavori da molti anni con la pellicola, il nitrato e in generale il materiale d’archivio. Perché sei così interessato nel ripercorrere il passato del cinema e dell’immagine stessa? Sei d’accordo se diciamo che tutti i tuoi film sono come delle storie di fantasmi?
Io provengo dalla pittura, perciò sono sempre stato interessato al cinema come a un’arte plastica e al tempo stesso effimera. E poi penso sia interessate e coinvolgente vedere vecchie immagini che nessuno ha mai visto e condividerle con gli altri. Per questo, sì, direi che i miei film sono tutti storie di fantasmi, storie che in realtà abbiamo già vissuto.

In Dawson City insisti molto sull’infiammabilità della pellicola in nitrato e mostri diversi casi in cui, almeno fino all’inizio degli anni ’30 del ’900, l’improvvisa autocombustione dei film abbia provocato in tutto il mondo, e non solo a Dawson City, devastanti incendi di sale cinematografiche. Come arte sviluppatasi nel XX secolo, e in virtù di questa sua natura infiammabile e potenzialmente distruttiva, il cinema può essere una sorta di simbolo della violenza e delle tragedie della modernità?
Come il film mostra chiaramente, la celluloide è nata da un esplosivo il cui utilizzo era in origine puramente militare. È rimasta poi in uso per diversi decenni, ben dopo la scoperta della sua infiammabilità o lo scoppio di incendi che avevano provocato diverse vittime, poiché era più resistente, e dunque più economica, di altro materiale più sicuro che avrebbe potuto di sostituirla e che nel frattempo era stato messo a punto. Nella misura in cui il capitalismo è sorretto dalle idee di sviluppo, di profitto, di accumulo di materiale bellico, la pellicola di nitrato è una perfetta metafora dell’espansione del capitalismo.



Dunque il tuo stesso film è una grande metafora dei processi storici del XX secolo… Dentro c’è per l’appunto la nascita del capitalismo, ma anche la nascita e lo sviluppo del cinema, la creazione dello show business negli anni del muto, la provincia del mondo e Hollywood, la devastazione della natura da parte dell’industria pesante, la relazione fra oblio e mitologia, la formazione di un immaginario legato alle immagini e alla loro deperibilità…
Sì, credo di sì. E questo perché la storia di Dawson City va ben oltre la scoperta sottoterra di uno stock di film dimenticati. È una storia novecentesca, dove agiscono forze che hanno contribuito a creare il mondo in cui viviamo oggi; forze che incredibilmente si possono osservare al lavoro, in bianco e nero, a Dawson City. È come assistere, grazie a dei frammenti di film, all’espansione della civiltà occidentale e alla parabola di crescita e caduta del capitalismo. Per me è un distillato della hýbris della società capitalistica, esattamente come la storia del Titanic. C’è tutto quanto ci riguardi. È inoltre interessante accorgersi di come i cinegiornali dell’epoca fossero spesso dalla parte dei lavoratori e presentassero diversi eroi del movimento operaio. A quel tempo l’informazione non era ancora stata assorbita dalle grandi compagnie, perciò si possono vedere immagini del massacro di Ludlow o dell’uccisione da parte della Guardia nazionale di diversi minatori in protesta contro la Rockefeller’s Colorado Fuel & Iron Company. In un cinegiornale si vede l’anarchico Alexander Berkman guidare una protesta a Union Square, sotto gli uffici di Rockefeller, in difesa dei minatori del Colorado e contribuire così alla vittoria del movimento su alcune questioni ancora oggi fondamentali, come le otto ore lavorative o la legge sul lavoro minorile. In un frammento di diversi anni successivo si vedono poi Berkman e sua moglie Emma Goldman, insieme a un centinaio di altre persone, salire su una nave ed essere deportati in Russia, in quanto “non-americani”. È estremamente interessate ricostruire la relazione fra la società americana e il lavoro. E siccome questo rappresentava una parte importante di ciò che era successo a Dawson, era coerente con l’idea del film includere questi passaggi, che mostrano come gli stessi conflitti in campo a Dawson fossero presenti in altri centri minerari.

Come hai lavorato con il compositore Alex Somers? Avevi pensato alla musica onirica e ipnotica di Somers fin dall'inizio? Trovavi che ci fosse un legame specifico tra le immagini con le quali stavi lavorando e il carattere "liquido" e mesmerizzante dei suoni di Somers? 
Ho cominciato fin dall’inizio a lavorare con Jónsi e Alex per creare le musiche per il film. Sapevo che avevano apprezzato il mio film Decasia, quindi cercavo un nuovo progetto al quale lavorare insieme. Hanno creato tre tracce per un totale di circa 20 minuti, che ho usato come bozza di partenza, insieme al loro disco Riceboy Sleeps. La loro musica ha ispirato il ritmo e il senso di realtà sospesa che permea il film. Quando finalmente ho potuto mostrare loro un montaggio preliminare, Alex e io abbiamo iniziato a lavorare a stretto contatto, scambiandoci annotazioni e revisioni. Alex ha poi avuto la brillante idea di chiedere al fratello John di lavorare al tappeto sonoro, che funziona perfettamente con la partitura.

Come sei riuscito a utilizzare sia le immagini digitali che i nitrati? Dal tuo punto di vista di regista che ha creato numerosi found-footage film, qual è la differenza tra immagini digitali e immagini in pellicola? Il cinema ha un futuro o, come forma d'arte e di espressione, è destinato semplicemente a essere conservato "sotto altre piscine"?
A dire il vero, i frammenti di film ritrovati a Dawson oggi sono tutte immagini digitali, anche se ho dovuto acquisire le immagini dai nitrati originali. Esistono su una piattaforma digitale. Trovo che il deterioramento dei nitrati sia differente da qualsiasi altra cosa nel mondo delle immagini. Coinvolge sia il singolo frame statico che l'immagine in movimento nel suo sviluppo temporale. Nient'altro agisce in questo modo, ossia possedendo al tempo stesso il più alto grado di risoluzione e un altissimo potenziale di annullamento, pur lasciando una traccia. Nell'immagine digitale, la degradazione è molto più veloce, e l'area grigia del suo deterioramento è molto più rapida e per me poco interessante. Credo ci sia qualcosa di organico ed essenzialmente umano nel cinema, ed è per questo che l'uomo può sentirvi un'affinità. Mi auguro che il cinema duri ancora per un po', pur continuando a godere dell’eventualità di saltar fuori dai sotterranei di qualche altra piscina…

Come definiresti il tuo cinema?
Sono sempre stato interessato, e lo sono sempre di più, dalla possibilità di raccontare le nostre grandi storie con immagini che sono coerenti con quelle stesse storie.